La scorta di Moro, gli eroi di via Fani

Il 16 marzo 1978, giorno del sequestro di Aldo Moro è anche quello dell’assassinio della sua scorta. Si parla sempre, ed è naturale farlo, dello statista democristiano ma troppo spesso si dimenticano invece quei cinque uomini che lo proteggevano e che lo difesero fino in fondo, a costo della loro vita.

Quel lontano mattino di quaranta anni fa, fu l’ultimo della loro vita. Poco dopo le 9 furono crivellati dai colpi delle armi automatiche dei brigatisti, nell’agguato del rapimento del leader democristiano. Uno dopo l’altro, travolti dalla sorpresa di un’azione pazzesca, con raffiche sparate da distanza ravvicinata per non lasciare loro scampo, furono sopraffatti. Doveroso ricordare il loro sacrificio, doveroso soffermarsi sulle loro vite.

Il maresciallo Oreste Leonardi, da quindici anni capo della scorta di Moro, era quasi una persona di famiglia. Torinese, 52 anni, dopo il ginnasio si arruolò nell’arma dei carabinieri. Prima sede Viterbo dove conseguì il diploma di istruttore del Centro militare di paracadutismo. Quel giorno in via Fani si trovava nel sedile anteriore destro della Fiat 130 di Moro. Prima di morire riuscì ancora a girarsi per far abbassare lo statista Dc, impedendo che fosse colpito dai proiettili. Lasciò una moglie e due figli.

Al volante dell’auto c’era Domenico Ricci, marchigiano di Staffolo, piccolo centro in provincia di Ancona, classe 1934. Aveva fatto ingresso nei carabinieri nel 1954, alla scuola allievi di Torino. Divenne esperto nella guida veloce e nel 1955 fu inserito nel nucleo radiomobile di Roma. Due anni dopo, nel 1957, diviene l’autista di Moro, all’epoca ministro della Giustizia. Sposato con due figli, fu promosso appuntato nel 1966. Sotto il fuoco dei terroristi, tentò invano di aprirsi un varco con l’auto, per uscire dalla trappola mortale e cercare un via di salvezza.

Nell’Alfetta che seguiva la Fiat 130, trovavano posto i tre agenti di scorta. Il capo equipaggio era Francesco Zizzi, nato nel 1948 a Fasano, in provincia di Brindisi. Era entrato nella pubblica sicurezza nel 1972, tempo dopo vinse il concorso sottoufficiali di Nettuno e fu assegnato alla scorta di Moro. Era al suo primo giorno di servizio che, tragicamente, fu anche l’ultimo. Quell’anno stava per sposarsi: via Fani mise fine a tutto. Giulio Rivera, era molisano, nato nel 1954 a Guglionesi, in provincia di Campobasso. Appena ventenne, nel 1974, aveva fatto domanda per la polizia e da un anno era stato inserito nel servizio scorta di Moro. Appena 25enne era infine Raffaele Iozzino, nativo di Casola, nei pressi di Napoli. Arruolatosi nella pubblica sicurezza nel 1971, aveva poi frequentato la scuola di Alessandria. Era stato assegnato alla scorta di Moro da due anni.

Nelle tante lettere che lo statista Dc scrisse alla famiglia e ai diversi esponenti politici del suo partito, colpisce che non vi sia mai un passaggio dedicato alla sua scorta, a chi sacrificò la propria vita per tentare di salvare la sua. E’ probabile che i brigatisti non vollero si desse troppo risalto a questa tremenda pagina di sangue. In fondo, dopo quel tragico 16 marzo, essi non erano più soltanto colpevoli di un sequestro di persona, ma degli assassini a sangue freddo, dei criminali con cui non si poteva, né si doveva trattare. Non sarebbe stato giusto nei confronti dei cinque uomini della scorta, gli eroi di via Fani, ultimo barlume di umanità dinanzi alla follia terrorista.

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