Oltre Pd e Leu per far vivere l’area riformatrice
Le elezioni del 4 marzo scorso hanno posto tutte le forze espressione di culture politiche riformatrici, da quelle più moderate a quelle più radicali, di fronte a un bivio: o ripensare dalle fondamenta le loro strategie oppure subire un inarrestabile declino. La seconda via è quella che si vede tuttora. A quasi due mesi dalla storica débâcle non è iniziato ancora alcun serio processo di ripensamento per evitare una possibile scomparsa dalla scena politica. Addirittura il Partito Democratico ha eluso il dibattito sulle ragioni della sconfitta, proponendosi di fatto ormai solo più come l’interlocutore delle élites economiche e culturali neoliberiste e dei ceti sociali più agiati, dopo aver visto crollare i suoi consensi fra il popolo dei lavoratori, dei quartieri periferici, della variegata e rilevante provincia italiana da nord a sud. Liberi e Uguali dal canto suo, nata per attrarre i voti dei delusi del Pd che si erano rifugiati nell’astensione o nel voto al Movimento Cinque Stelle, è stata percepita dagli elettori come una scimiottatura e una succursale del Pd, che infatti ha seguito nel crollo fra i ceti popolari, e nella tenuta relativa nei centri delle città.
In nessuna delle due formazioni dell’area riformista rappresentate nell’attuale parlamento si colgono dei segnali di deciso cambiamento. L’impianto delle loro politiche rimane austeritario in economia e acriticamente atlantista in politica estera; entrambe paiono muoversi nel perimetro, troppo stretto per le istanze sociali, tracciato Mario Monti piuttosto che cercare risposte nuove e adeguate all’impoverimento della classe media, fenomeno che sta sconvolgendo gli equilibri politici e sociali delle nostre democrazie occidentali.
Nel frattempo i problemi incalzano l’agenda politica. La situazione economica e sociale rimane critica per la maggioranza della popolazione italiana, che non percepisce alcun beneficio tangibile da politiche economiche di bilancio finalizzate al rigore di bilancio e all’export. Ma come ha scritto il sociologo Magatti, questo è un tempo che necessita di politica più che di tecnica. Vanno perciò individuati i punti chiave da cui ripartire per rilanciare un progetto politico riformista adeguato ai nostri tempi, al XXI secolo, a questi anni che non sono senza analogie con quelli che hanno preceduto i due conflitti mondiali.
Senza riconoscere che la deriva neoliberista dei riformisti è una delle cause delle attuali disuguaglianze, difficilmente si riuscirà a suscitare l’interesse dei tanti elettori delusi di sinistra.
Realisticamente occorre prendere atto che non vi sono più le condizioni per cambiare il Partito Democratico, come ad esempio Corbyn nel Regno Unito è riuscito a cambiare i Laburisti di Blair. Questa ormai è tutta sinistra che va a rimorchio dei grandi interessi finanziari e non è più capace di pensare un progetto diverso in autonomia, rappresentando gli interessi della classe media e a servizio del bene comune.
Quindi, a mio avviso, a chi vuole rinnovare l’area riformatrice non rimane altro da fare che intraprendere la via della creazione di un nuovo movimento politico, alternativo al centrodestra, ma trasversale a tutte le aree politiche che compongono lo schieramento riformatore, per intercettare tutti gli scontenti, dai settori più moderati a quelli più a sinistra. Stando però attenti a non rintanarsi in una ridotta caratterizzata da pugni chiusi o da scudi crociati. Le identità politiche sono una cosa nobile e indispensabile ma non possono costituire il front office di questo nuovo movimento politico. Il suo elemento caratterizzante di fronte agli elettori deve essere il programma, con temi comprensibili a tutti quali: la fine delle politiche austeritarie, il disinnesco della legge Fornero, un piano straordinario per il lavoro, il superamento della separazione tra Tesoro e Banca d’Italia per monetizzare il debito pubblico, facendolo ritornare a essere una leva dello sviluppo anziché un totem a cui sacrificare il nostro futuro, la dignità del lavoro, il welfare; una idea d’Europa in cui non vi sia un solo Paese che deve la sua crescita al soffocamento degli altri, ma in cui si proceda alla condivisione del debito come presupposto per uno sviluppo comune.
Ciò che occorre dire, se si ha la convinzione e il coraggio di dirlo, è dove collocare questa nuova forza politica. Infatti, non risulta più sufficiente affermare di stare nel centrosinistra. Nel centrosinistra sì, ma dalla parte dell’asse della conservazione (che il Pd forma insieme a Forza Italia e alla Casaleggio e Associati), o dalla parte dell’asse del cambiamento? Questa è la prima cosa che considera l’elettorato, la discriminante nella scelta degli schieramenti e delle liste. Stare dalla parte del cambiamento significa fondamentalmente due cose in questa fase storica: ridiscutere l’intero impianto neoliberista dei trattati europei post – Maastricht, perché l’Europa come è fatta oggi farebbe vergognare i suoi padri fondatori, poiché rende impossibile, nei fatti vieta e sanziona l’adozione da parte degli Stati di politiche espansive volte allo sviluppo e alla riduzione delle disuguaglianze, mentre tutela oltre ogni ragionevole limite i profitti della speculazione finanziaria.
L’altra cosa è una chiara opzione per la pace, in uno scenario di “terza guerra mondiale a pezzi”, con tutta la grande stampa ormai da anni impegnata in una violenta campagna di demonizzazione della Russia con ogni sorta di menzogne (ultime quelle sul caso Skripal, come tutta la narrazione sulla guerra in Siria, innescata dagli occidentali che vi hanno mandato a combattere terroristi da loro finanziati e appoggiati, attribuendone la responsabilità alla Russia) per far accettare al popolo la prossima grande guerra. Occorre dire con chiarezza che l’Italia si tirerà fuori. Occorre decidere la revoca unilaterale delle sanzioni alla Russia, stipulare al più presto un patto di non aggressione con Mosca, e portare l’Italia a condividere con le vicine Svizzera e Austria una collocazione internazionale di neutralità.
Sono convinto che se si inizia a lavorare sin d’ora, con metodo democratico, partendo dai territori e dai luoghi dove i cittadini vivono e lavorano, ad un nuovo movimento politico capace di intercettare tutto il disagio e la delusione che c’è negli elettori di centrosinistra, e per questo ad un movimento non austeritario e neutralista, deciso ad affermare i valori della Costituzione sopra i trattati internazionali, in vista delle prossime elezioni europee l’attenzione che potrà suscitare presso un elettorato disilluso di sinistra e popolare, potrà essere molto ampia.
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