9 maggio 1978: Aldo Moro assassinato
Nella tarda mattinata del 9 maggio 1978, una voce al telefono annunciò che una Renault 4 rossa si trovava in via Caetani, nel centro di Roma, a metà strada tra la sede della Dc in Piazza del Gesù e quella del Pci in via delle Botteghe Oscure. Nell’auto, parcheggiata in questo premeditato e simbolico crocevia del compromesso storico, vi era il corpo di Aldo Moro.
Si concludeva così, dopo 55 giorni, il drammatico sequestro del leader democristiano. Quasi due mesi di veri e falsi comunicati, di lettere del prigioniero, di molteplici appelli per la sua liberazione, compreso quello particolarmente accorato di Paolo VI. Da parte dello Stato, nessuna disponibilità ad aprire trattative con le Br per salvare la vita dell’ostaggio e d’altronde era impensabile trattare con chi aveva ucciso, al momento del rapimento dello statista, i cinque uomini della scorta. In ballo non c’era soltanto (si fa per dire) il sequestro di un uomo ma anche, non va dimenticato, l’assassinio di altre cinque persone a sangue freddo. Nessun cedimento, dunque, sarebbe stato immaginabile.
Per contro, ci sarebbe voluta una maggior efficacia nelle indagini, mentre sin dall’inizio emersero strani ed inspiegabili depistaggi. Tre anni dopo, nel 1981, si scoprì che parecchi degli uomini che presidiavano la sicurezza dello Stato erano affiliati alla loggia P2, e quindi fu ben chiaro che la fedeltà alle istituzioni repubblicane era stata messa in secondo piano rispetto al giuramento fatto a quell’associazione segreta che voleva instaurare in Italia un regime autoritario. E allora quale migliore occasione per liberarsi di Moro, forse il più implacabile avversario di qualsiasi involuzione reazionaria, se non quella di sfruttare la “provvidenziale” azione delle Br che avevano fatto, per conto loro, il lavoro sporco? Bastava frenare e depistare, gettando un po’ di sabbia negli ingranaggi investigativi, e il gioco era fatto.
Sebbene non possano escludersi infiltrazioni dei servizi segreti o qualcosa di simile nell’operazione condotta dai brigatisti, la tesi tutt’ora più plausibile di quanto accade nel caso Moro, è quella dell’innesto di manovre reazionarie su un piano concepito nell’universo brigatista. Nessuna diretta contaminazione tra i due mondi è stata mai seriamente provata, ma è indubbia una certa convergenza di interessi nell’esito della tragica vicenda.
Aldo Moro era un personaggio scomodo: a tanti, a troppi. Il suo progetto, di coinvolgere il Partito comunista nell’area di governo, allarmava non solo Washington ma anche Mosca. Timorosa, quest’ultima, che l’esempio italiano di un Pci perfettamente integrato nei meccanismi del potere di una nazione occidentale, potesse influenzare analoghe evoluzioni nei Paesi dell’Est, dove la dominazione sovietica si reggeva soltanto sulle baionette e non certo su qualche reale forma di consenso.
Il leader Dc andava neutralizzato. E, in effetti, con la sua morte scomparve il più lucido protagonista della politica italiana di quegli anni: l’uomo che, tra i primi, aveva compreso i mali della nostra democrazia, tra spinte reazionarie e conati rivoluzionari. Inserire pienamente il Pci nel sistema politico era, secondo lo statista pugliese, il modo per indirizzare l’Italia verso soluzioni inclusive e riformatrici, allargando le basi delle istituzioni democratiche.
Per questo si parlava di lui, come possibile futuro Presidente della Repubblica, nelle elezioni che dovevano svolgersi nel dicembre del 1978, alla scadenza del settennato di Giovanni Leone. Egli sarebbe stato il garante di quegli equilibri sociali più avanzati che si stavano faticosamente costruendo. Memorabile fu il suo ultimo discorso, il 28 febbraio 1978, quando convinse i gruppi parlamentari della Dc, della necessità di aprire questa nuova fase, senza poter esser certi – come onestamente riconobbe – a quale esito avrebbe condotto. <<Siamo chiamati a vivere il nostro tempo accettandone le sfide>>: questo il messaggio che risuonò in quella lontana primavera di 40 anni fa. Qualcosa che vale, ieri come oggi, nella vita politica e non solo in quella.
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