Cattolici e Seconda repubblica
Il 4 marzo si sono tenute elezioni nazionali che non solo hanno rappresentato un drastico cambiamento dello schema di gioco della politica italiana ma, probabilmente, il cambiamento ha riguardato lo stesso campo da gioco.
Si sono chiusi i venticinque anni di cattiva politica noti sotto il nome di “seconda repubblica” essenzialmente caratterizzati da un leaderismo sempre più forte, l’annichilimento dei corpi intermedi, una capacità di pensiero sempre più asfittica e dunque poco incline alla mediazione, la categoria del nemico come elemento fondamentale d’azione. Ed i cattolici? Accettando di essere indotti a fratturarsi in due schieramenti contrapposti secondo i sostenitori di una diaspora risultata utile solo alle carriere dei singoli, non solo hanno annientato un’organizzazione ma hanno innescato una vera e propria crisi di pensiero giunta al suo punto finale con la tornata elettorale ultima in cui una lunga agonia ha trovato finalmente la sua fine (e in tutto ciò non va sottaciuto un ulteriore grave danno provocato dall’insinuarsi di questa spaccatura all’interno del mondo ecclesiale).
La ricerca di sciamani e l’idea malata della contaminazione delle cultura che ha portato al loro annullamento ha, di fatto, coinciso con l’abbandono dell’originalità della visione e della elaborazione sociale dei cattolici in politica: infatti è sotto gli occhi di tutti la cedevolezza al turbo liberismo economico che sta erodendo un’Europa cresciuta senza criterio (e si è insinuato anche nella Costituzione attraverso l’inserimento del pareggio di bilancio simile ad un cavallo di troia), l’incapacità ad affrontare, se non di rimessa, in difesa, la drammatica questione antropologica che in stretto rapporto ideologico con un’economia finanziarizzata sta distruggendo la centralità della persona umana dal suo naturale inizio alla sua naturale fine, l’assenza di una strategia di politica estera, in particolare mediterranea, non subalterna ad altre. In quest’ultimo caso come non ricordare Aldo Moro: in un suo bel saggio sulla politica estera del grande statista il prof. Gennaro Salzano ha scritto: “il leader democristiano … ispirò la sua azione a due direttrici di fondo, strettamente connesse tra loro: la ricerca della maggiore autonomia possibile dall’alleato americano e la contestuale azione di costruzione di buoni rapporti con tutto il mondo arabo. A completare poi la definizione degli obbiettivi di Moro in campo internazionale concorre la costante attenzione al processo di integrazione europea, come contraltare agli USA e come riferimento unitario del mondo arabo sulla sponda settentrionale del Mediterraneo. L’azione di Moro, dunque, non fu orientata a dare all’Italia un ruolo di potenza, ma poneva, da un lato, in primo piano, la difesa degli interessi nazionali, che erano in gran parte rappresentati proprio dalla sicurezza e dalla cooperazione nel Mediterraneo, e dall’altro puntava a fare dell’Italia un Paese centrale nel dialogo nord-sud, che proprio in quegli anni, con la fine del processo di decolonizzazione e lo scoppio della tensione in Medio-Oriente, si segnalava come la nuova “questione” a livello internazionale” (G. Salzano, Un costruttore di pace. Il Mediterraneo e la Palestina nella politica estera di Aldo Moro,Guida Editori, Napoli, 2015).
Il progressivo distacco, diventato indifferenza (salvo le aspirazioni di taluni dirigenti di volta in volta spinti dalle prospettive di carriera, un po’ di qua, un po’ di là) tra chi si impegnava in politica e le realtà laicali, molte delle quali condotte su posizioni anti democristiane per essere “alla moda” (salvo poi fare convegni per mettere in vetrina gli statisti democratici cristiani), ha completato un processo di inaridimento che oggi vede l’assenza di una classe dirigente capace di incidere e soprattutto di giovani. A forza di fare i moderati, cioè di trasformare un atteggiamento in una identità scialba inesistente in natura ma potenzialmente gradita a tutti, ci si è ritrovati ad essere smidollati, altro che la politica vissuta contro corrente, in senso martiriale come indicato da Papa Francesco!
I nostri convegni, le assemblee, gli incontri sono luoghi dove parliamo tanto di popolarismo, di Europa dei Padri fondatori, ecc… ma sono sempre più autoreferenziali, appaiono sempre più come commemorazioni di nostalgici di un’organizzazione passata, che a parole tutti definiscono irripetibile, perché mancano i giovani: non c’è stato il passaggio de testimone innanzitutto di una cultura inclusiva come quella popolare radicata nell’idea democratico cristiana, questa è la grande colpa di un ceto dirigente, salvo encomiabili ma numericamente scarse eccezioni. E mentre in troppi cercano di giocare con le reti di un campo da calcio che pensano ancora di conoscere, il mondo politico italiano è passato da un’altra parte, su un campo da rugby dove il popolo in generale, i giovani in particolari, tendono ad essere inquadrati in tifoserie!
Soluzioni?
Serve ritrovare l’originalità della visione e della proposta riprendendo lo schema già indicato da don Primo Mazzolari, né a destra, né al centro, né a sinistra, ma in alto, senza andare a prestito di rivoluzioni altrui. Urge ripartire dai giovani per sanare quella frattura tra “cattolici del sociale “ e “cattolici della morale” – come indicato dal card. Bassetti, presidente della CEI – i quali son diventate piccole schiere incarognite che hanno sbrindellato la visione sociale cristiana in ideologie contrapposte. Bisogna riprendere in mano il testimone del popolarismo, dell’idea democratico cristiana innescando un processo inclusivo ponendo come punto fondante, allora sì anche organizzativo, la virtù dell’amicizia civica. Per riprendere una canzone di Pezzali con Nek e Renga, “…ma il cuore va oltre l’ostacolo, ma il cuore fa ogni miracolo. E io lo so, duri da battere, ci puoi scommettere, duri da battere, quasi impossibile … cresciamo pieni di sogni e di speranze che poi si affievoliscono un po’ ma non si spengono mai, cadiamo spesso però siamo anche bravi ad uscire dai guai …e il cuore va oltre l’ostacolo …”.
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