“Non ci sono soldi, non è più una ragione”: sia la bandiera dei cattolici in politica

Dopo quasi tre mesi nei quali è successo di tutto, finalmente il Paese ha un nuovo governo. In questo contesto, con nuovi rischi ma anche con nuove opportunità di impegno, compito dei cristiani nella società è, come ci ha ricordato il presidente della Cei cardinal Bassetti, quello di far emergere la disponibilità per il bene comune, in una fase in cui l’Italia appare alla ricerca di vie nuove e di una nuova idea del proprio futuro.

Un tale cammino è possibile solo accogliendo le sfide, come parte di un popolo che in larga misura è interessato da processi di impoverimento e di aumento delle disuguaglianze. Non può avere un futuro, infatti, una situazione che vede quel che resta del cattolicesimo democratico e sociale, del popolarismo, dell’associazionismo non più abituato a un genuino rapporto di fiducia e di interlocuzione con la classe media e lavoratrice, e culturalmente succube di un establishment che si è dimostrato incapace di fare una sintesi equilibrata dei diversi interessi sociali e economici.

Bisogna ripartire dalla cruda realtà. Gli ultimi dati l’Istat sulla condizione del Paese segnalano due grandi criticità: l’aumento della diseguaglianza dei redditi e l’aumento della povertà. Ad una analisi più approfondita ci si accorge che si è avuto, e in particolare nell’ultimo decennio della crisi, un mutamento strutturale della società.

Siamo passati da una società opulenta, dei due terzi garantiti, ad una società dei tre terzi, composta, come sostiene l’Eurispes, da un terzo fra ricchi e benestanti, un terzo di ceto medio che traballa e che cammina sull’orlo del precipizio della povertà e un terzo di poveri senza speranza, non solo di potersi integrare, ma anche solo di poter appena attenuare la loro indigenza. Quali idee i cattolici sanno mettere in campo di fronte a una società dove solo più una minoranza sta relativamente bene, e una grande maggioranza, circa i due terzi, si trova in condizione di disagio più o meno grave?

Il magistero sociale della Chiesa ci fa da guida, però ci vogliono anche dei laici competenti e intraprendenti che ne sappiano incarnare i messaggi. Si tratta di affrontare le questioni economiche operando un cambio di paradigma. Capire che è il denaro che deve servire la persona e non viceversa.

La Chiesa lo ha ribadito recentemente con un documento sui problemi economici e finanziari, l’Oeconomicae et pecuniariae quaestiones, nel quale si invita a un ripensamento dei modelli economici: “Il denaro – si sottolinea nel documento – deve servire e non governare”.

É vero che questo documento è rivolto al mondo intero, ma deve costituire materia di riflessione l’affermazione “il denaro deve servire e non governare”, per un Paese che è stato invitato, o costretto, come qualcuno sostiene, ad inserire il pareggio di bilancio in Costituzione e a ridurre oltre ogni ragionevole limite di sostenibilità gli investimenti per il lavoro, lo sviluppo e il welfare.

Oggi più che mai, “siamo tutti chiamati – recita ancora il documento – a vigilare come sentinelle della vita buona ed a renderci interpreti di un nuovo protagonismo sociale, improntando la nostra azione alla ricerca del bene comune e fondandola sui saldi principi della solidarietà e della sussidiarietà”(§ 34).

In questa prospettiva credo che assuma una sua rilevanza anche l’attenzione che si esercita sul ruolo delle banche centrali, sulla particolarità dei loro bilanci, in relazione alla gestione del debito pubblico e al sostegno allo sviluppo economico e sociale dei popoli. Il punto essenziale è che la gestione della moneta torni ad essere svolta nell’interesse pubblico e non in funzione di particolari interessi finanziari; in funzione dell’economia reale, quella che serve alle persone, alle famiglie, alle imprese, alle comunità, e non in funzione di quell’economia virtuale che con un click al computer sposta in tempo reale immensi capitali senza obbligazione alcuna verso l’erario di un singolo stato e senza alcun scrupolo verso il futuro delle aziende, e dunque verso l’avvenire delle persone.

Se vogliono recuperare la loro credibilità di fronte alle classi popolari, i cattolici impegnati in politica in questa fase devono caratterizzarsi con decisione e coerenza nella denuncia dei guasti sociali e economici prodotti dall’austerità, sostenendo chiaramente che: “non ci sono soldi, non è più una ragione”. Proviamo immaginare quale impatto politico ci sarebbe se ciascun cittadino di fronte alle scuole che cadono a pezzi, alle strade perforate dalle buche, agli ospedali che non riescono a far fronte alle richieste di cura, ai danni sulle persone o sulle attività provocati da alluvioni, terremoti, ai poveri, ai migranti e a tutte le persone in difficoltà, dicessero: “non ci sono soldi non è più una ragione”.

La fase attuale, che vede devastata l’economia da anni di politiche economiche e monetarie profondamente sbagliate e inadatte, con effetti paragonabili a quelli di una guerra, come ha rilevato l’Ufficio Studi Confindustria, chiede ai cattolici di esser di nuovo capaci di mettere in campo “idee ricostruttive”, per ritrovare un legame, un comune sentire con il popolo, che in questi anni è andato assottigliandosi, e talvolta sostituito da orientamenti e movimenti che non sembrano avere al primo posto una cultura della solidarietà e della sussidiarietà.

Cattolici capaci di mettere in campo una nuova idea di Europa come comunità, al posto di quella attuale sempre più simile a una gabbia dove comanda lo stato più forte e quelli più deboli vengono indeboliti e spogliati delle loro ricchezze e della loro dignità, e dove di irreversibile non c’è niente, se manca la volontà di costruire una autentica comunità di destino.

Se su queste frontiere saremo capaci di esserci con una visione e delle proposte adeguate, torneremo ad essere un riferimento nel popolo e per il popolo, altrimenti il declino e l’irrilevanza saranno assicurati. Non è arroccandosi su anacronistici fronti popolari o repubblicani a difesa degli attuali rapporti di forza esistenti fra le classi sociali che i cattolici in politica possono gettare il seme di una nuova società.

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