Tesla Club Italy Revolution
Siamo all’alba di una rivoluzione silenziosa. Quella che vedrà la mobilità elettrica sostituire gradualmente i motori a scoppio, forse in tempi più brevi di quelli che si sarebbero potuti prevedere anche solo pochi anni fa. Per rendersene conto, bastava presenziare alla terza edizione del Tesla Club Italy Revolution, evento ormai rodato a cadenza annuale che il 9 giugno si è svolto in un luogo-simbolo delle quattro ruote, il Museo Nazionale dell’Automobile di Torino, in quella stessa città che, in un recente passato, veniva definita, a buon diritto, “Capitale dell’auto”.
L’incontro, organizzato autonomamente dal club italiano di possessori e appassionati di auto Tesla senza l’intervento diretto della casa produttrice, è un osservatorio privilegiato per analizzare lo stato dell’arte della mobilità elettrica, partendo da quanto c’è di più avanzato attualmente nel mercato dell’auto, per poi allargare lo sguardo ad altre tematiche in sinergia con la mobilità sostenibile. E il fatto che tutto questo avvenga sotto le insegne di Tesla non è affatto casuale, perché è proprio il marchio californiano ad aver avviato quel cambio di paradigma che ora, con la sua onda lunga, sta attraversando e trasformando profondamente un mercato dell’auto che per anni ha continuato a innovare nel solco di una tradizione che ormai mostrava in modo sempre più evidente i suoi limiti.
Qualcuno ha detto che, se avessimo continuato a cercare di migliorare la candela, non avremmo mai avuto la luce elettrica. Oggi questo aforisma può essere agevolmente mutuato nel campo automobilistico, dove da anni le normative anti inquinamento obbligano le case produttrici ad adeguare i propri propulsori a livelli di emissioni sempre più basse. Ma era chiaro che i motori a scoppio non avrebbero potuto migliorare all’infinito le proprie rese, abbattendo sensibilmente gli inquinanti, nonostante i cospicui investimenti dell’industria automobilistica. Questa intuibile verità è venuta a galla nel modo peggiore, con lo scandalo delle emissioni “truccate” che ha coinvolto in diversa misura vari soggetti del settore.
C’è voluto questo brusco scossone per capire che se da un lato non si poteva pensare di migliorare più di tanto una tecnologia per sua natura inquinante, dall’altro esisteva già una soluzione alternativa. Il motore elettrico, infatti, non ha emissioni: niente tubo di scappamento, niente fuoriuscita di gas climalteranti o peggio nocivi, e una resa in efficienza che supera il 90%, contro quelle dei motori termici che non raggiungono il 40%.
Naturalmente, le abitudini, i pregiudizi e soprattutto i modelli consolidati di business sono duri a morire, il che spiega la resistenza a oltranza delle varie case automobilistiche – alcune ben più di altre, per la verità – a riconvertire le proprie produzioni verso la mobilità elettrica. Ma a scombinare le carte è arrivato un uomo che non è esagerato definire geniale, anche se i suoi detrattori spesso lo hanno definito un pazzo visionario: Elon Musk, sudafricano naturalizzato statunitense che, dopo aver fatto fortuna con PayPal, ha deciso di investire i suoi cospicui guadagni prima in campo astronautico, con SpaceX, primo operatore privato a effettuare lanci orbitali, poi nel campo dell’auto elettrica, con Tesla, appunto.
In realtà, l’auto elettrica non è un’invenzione recente, anzi: a cavallo fra il XIX e il XX secolo, i propulsori elettrici erano in aperta competizione coi motori a scoppio, risultando superiori non solo per l’assenza di gas di scarico (problema allora meno sentito di oggi), ma anche per silenziosità e prestazioni: proprio al Museo dell’Auto di Torino si può vedere una fedele replica della Jamais Contente, vettura elettrica che per prima, nel 1899, superò i 100 km/h, precisamente 105,88 sul chilometro lanciato, grazie a due propulsori abbinati direttamente alle ruote posteriori. Oltre un secolo dopo, Musk ripropone l’auto elettrica con le stesse modalità, una sportiva ad altissime prestazioni, destinata ovviamente a un pubblico ristretto ed elitario, un “giocattolo” da 150.000$, come lo ha definito qualcuno. Ma questo basta a invertire il pregiudizio.
Fino a quel momento, come ha ricordato il designer torinese Fabrizio Giugiaro nel suo intervento al convegno del Tesla club, l’auto elettrica era comunque un prodotto di nicchia, ma con una connotazione negativa: basse potenze, aspetto banalmente ordinario o eccessivamente futuristico, destinato a pochi automobilisti “alternativi” ed ecologisti, che mettevano in secondo piano le esigenze di mobilità e non subivano il fascino delle prestazioni sportive. Con Tesla cambia tutto: dopo la Roadster, destinata a un’utenza sportiva (e abbiente…) esce la Model S, vettura di serie totalmente elettrica, berlina potente ed elegante destinata comunque alla fascia alta del mercato, ma non irraggiungibile ed estrema come la precedente. Naturalmente, resta il problema della rete di ricarica, perché la vettura, anche se ha un’autonomia ben superiore a quella di qualunque altra elettrica in circolazione, deve comunque essere rifornita. Ma Musk risolve il problema in modo brillante, prevedendo una rete di ricarica privata e dedicata, totalmente gratuita, ovvero comprendendo nel prezzo di acquisto anche il rifornimento “a vita”. Come se il concessionario di una qualunque auto termica vi pagasse il carburante per sempre. Una rivoluzione.
Tesla dimostra di non essere solo una casa automobilistica, ma un vero e proprio sistema di mobilità. E presto diventa un “iconic brand”, simbolo universale di innovazione nel campo della mobilità così come, a titolo d’esempio, lo è Apple nel campo informatico. Questo attira investimenti e una fascia di clientela fidelizzata, che a sua volta diventa testimonial e sponsor del marchio, che non ha neppure bisogno di farsi pubblicità, infatti non ne fa. Con risparmi enormi rispetto agli altri produttori, che spendono cifre considerevoli in spot pubblicitari. E dopo anni di scetticismo e previsioni sballate, i competitori di Tesla sono costretti a rendersi conto che il marchio californiano attira sempre più interesse, e conquista quote di mercato significative in un segmento particolarmente premiante a livello di utili. Quindi sono costrette a inseguire Tesla sul suo terreno, con dieci anni di ritardo, una eternità in campo tecnologico.
Nel frattempo l’azienda californiana ha raggiunto una capitalizzazione di borsa stellare, persino sovradimensionata, ma ha provveduto a implementare la gamma e, passo fondamentale, a mettere in cantiere una fabbrica per potersi produrre in proprio le batterie, ovvero il nocciolo di un’auto elettrica, da cui dipendono rese, prestazioni, autonomia e capacità di ricarica. Inoltre, ha previsto sistemi di produzione e stoccaggio di energia che consentono di chiudere l’intero ciclo, dalla fonte (rigorosamente rinnovabile, cioè il fotovoltaico) all’utilizzo su strada.
Tuttavia, per ora, siamo comunque a numeri di nicchia, quelli delle berline di classe alta. Ma grazie alla via tracciata da Tesla, un altro, formidabile competitore è sceso in campo, realizzando numeri decisamente più alti e destinati a crescere rapidamente, come fenomeno di massa. È la Cina, che dopo anni passati a vivere sotto una coltre di smog, ha deciso di dare una svolta radicale alle proprie politiche su mobilità e produzione elettrica. Con la consueta prontezza che caratterizza il sistema cinese, basato sul capitalismo di stato, l’industria ha provveduto a riconvertire rapidamente i propri cicli produttivi in senso maggiormente sostenibile e, in poco tempo, i cieli del Celeste Impero sono ritornati azzurri, letteralmente.
E se un colosso come la Cina si muove in quella direzione, la strada tracciata da Tesla diventa la via maestra per il futuro della mobilità. Ora resta da capire cosa intende fare l’Italia, per ora fanalino di coda in questo ambito. Per il momento, si sono registrate alcune aperture da parte del nuovo esecutivo, il che è già qualcosa, rispetto alle chiusure precedenti. Ma occorre giudicare dai fatti, auspicando che ci si muova in fretta, per cogliere le opportunità di un settore con ampie prospettive di espansione.
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