Aquarius

 

C’era una volta un musical, “Aquarius”, in cui un gruppo di hippies sognava un mondo dove tutti potessero avere pace e benessere, in perfetto stile new age. Oggi quelle utopie sono naufragate e, paradossalmente, una nave dal nome “Aquarius” si è ritrovata al centro di uno scontro internazionale, giocato sulla pelle di centinaia di profughi in fuga da fame e guerre, alla ricerca di uno spicchio di benessere che la fortezza Europa non vuole concedere. E la vicenda ha anche provocato la prima crisi diplomatica per il Governo in carica, a soli 10 giorni dall’insediamento. Un record. Qualcuno diceva che il ritorno del sovranismo avrebbe portato grosse frizioni fra le nazioni. Detto, fatto.

Ma partiamo dall’inizio. Da qualche anno, la nave Aquarius incrocia nelle acque del Mediterraneo con la missione di soccorrere i profughi che tentano la disperata traversata verso le coste europee. La nave opera per conto di Organizzazioni Non Governative (ONG), che si finanziano in gran parte con le donazioni di privati cittadini. Le ONG hanno deciso di portare il loro soccorso direttamente in mare (a terra operavano già da anni) dopo il verificarsi di numerosi naufragi con centinaia di vittime, causati anche dal disimpegno delle autorità europee e italiane, che al contrario hanno deciso di interrompere le missioni di ricerca e soccorso, quale era ad esempio Mare Nostrum, operata per alcuni mesi dalla Marina italiana. I governi europei, temendo di perdere consensi di fronte a un’opinione pubblica sobillata dai partiti populisti e xenofobi, che li accusano di spendere i soldi dei cittadini per portare gli stranieri in Europa, hanno preferito tagliare i fondi a queste missioni, per poi usare gli stessi soldi per pagare dittatori e trafficanti perché tengano i profughi lontano dai nostri occhi. È probabile che così facendo si spenda ancora di più, ma conquistare – o mantenere – la benevolenza degli elettori non ha prezzo. Per tutto il resto c’è il tiranno Erdogan che trattiene in Turchia i migranti provenienti dall’Asia, o le bande armate libiche che fanno lo stesso con i profughi dell’Africa sub-sahariana.

Ma nonostante questo genere di accordi, che frenano il flusso migratorio, una parte dei profughi viene comunque imbarcata su qualunque rottame galleggiante, che definire “gommone” è già eccessivo. Costoro, quando hanno la fortuna di non finire in fondo al mare, vengono tratti in salvo da chi li incrocia sulla propria rotta, molto spesso anche navi mercantili, questo perché il soccorso in mare, oltre a essere un dovere morale e umanitario, è anche regolato da precisi trattati internazionali, la cui violazione comporta sanzioni. Spesso i naufraghi recuperati da navi commerciali vengono poi trasbordati sulle navi gestite dalle ONG che, oltre a effettuare direttamente parte dei salvataggi, sono anche attrezzate per fornire assistenza medica a persone generalmente stremate da una traversata disumana. È proprio il caso della Aquarius, che aveva recuperato direttamente solo 229 dei 629 profughi a bordo, mentre gli altri 400 sono stati trasbordati da altre navi, il tutto su indicazione della Guardia Costiera italiana, che ha coordinato gli interventi. A quel punto, la nave gestita dalle ONG avrebbe dovuto sbarcare le persone soccorse in un porto indicato dalle Autorità marittime italiane.

Ma qui entra in gioco il Primo ministro de facto, cioè  Salvini, perché ormai è chiaro a tutti che il vero premier è lui, anche se è arrivato lì con la metà dei consensi ottenuti dai Cinquestelle. In qualità di ministro degli Interni, ha negato la possibilità di approdo alla Aquarius, con a bordo centinaia di profughi in condizioni precarie. Anche se tale decisione sarebbe spettata a Danilo Toninelli, ministro alle Infrastrutture, da cui dipende la gestione dei porti. Ma Salvini non vedeva l’ora di mostrare i muscoli, per far vedere chi comanda, anche giocando sulla pelle di oltre 600 sventurati. Un braccio di ferro cinico, teso ancora una volta ad accrescere la sua visibilità, in spregio anche alle convenzioni internazionali.

A quel punto, a buttare benzina sul fuoco hanno provveduto i “cugini” francesi, che hanno criticato la presa di posizione del nostro Governo in termini assai poco diplomatici. Ora, non c’è dubbio che la decisione del nostro esecutivo sia improvvida e discutibile, ma i francesi sono proprio gli ultimi che possono darci lezioni, dopo che per mesi hanno bloccato le frontiere respingendo a forza centinaia di migranti che cercavano di sconfinare, causando anche alcune vittime fra i disperati che hanno tentato la traversata delle Alpi in pieno inverno. Il fatto è che Macron, in maniera altrettanto cinica, ha portato l’attacco ai populisti italiani per colpire i populisti di casa sua, in primis Marine Le Pen, grande amica di Salvini. Un atteggiamento ipocrita e opportunista o, per usare gli stessi termini utilizzati dai francesi, “vomitevole”. L’episodio ha provocato elevato attrito fra i due Paesi, anche se ora la tensione sembra tornata sotto il livello di guardia. Tuttavia, questo scontro inopinato merita alcune riflessioni.

Primo: entrambi i Paesi hanno torto, l’Italia perché non ha rispettato le normative internazionali, la Francia perché non è nella posizione di dare lezioni, visto che coi migranti si comporta ben peggio di noi. Secondo: la principale normativa che obbliga l’Italia a tenersi i profughi è il famigerato Trattato di Dublino, che prevede che debba essere il Paese di primo approdo a farsi carico di chi entra nella UE. Stipulato nel 1990, è stato sottoposto a varie revisioni, tra cui quella del 2003, firmata dal Governo Berlusconi-Lega Nord, in un’epoca in cui non era difficile prevedere che la maggior parte degli sbarchi sarebbero avvenuti nel Belpaese. Lamentarsi ora è perlomeno ipocrita. Terzo: una ulteriore revisione del Trattato sarebbe doverosa, infatti l’attuale governo ha continuato a parlarne in campagna elettorale. Peccato che a non volere tale revisione siano proprio gli amici di Salvini, i vari sovranisti europei, a partire dal premier ungherese Orban, gli stessi che si oppongono alla redistribuzione dei profughi approdati in Italia. Quarto: nonostante ciò, i numeri ci dicono che l’Italia non è né l’unica a farsi carico dei profughi, né quella che ne accoglie di più, sia in termini assoluti che in percentuale sulla popolazione. Tantomeno si può parlare di “invasione”, specie tenendo conto che, in generale, la popolazione italiana diminuisce e invecchia, e solo l’immigrazione contribuisce a riequilibrare – in parte – questa tendenza. Quinto (e ultimo): la politica sull’immigrazione dell’UE è semplicemente vergognosa. Di fronte a un fenomeno inevitabile e destinato a crescere, il continente più ricco del mondo si chiude a riccio, non adotta una politica comune (come del resto su molte altre cose, ma allora perché continuiamo a chiamarla Unione? ) e lascia gli Stati membri a farsi la guerra fra loro, con un inquietante ritorno a vecchi confini che parevano ormai superati. Non solo: per le politiche securitarie e per finanziare coloro che trattengono i migranti, l’UE spende cifre colossali, ben più alte di quelle che basterebbero a creare canali legittimi e sicuri per entrare in Europa e garantire accoglienza e integrazione. Oltretutto, così facendo si toglierebbe ai trafficanti di uomini un commercio lucroso, mentre coloro che fuggono da fame e guerre eviterebbero un viaggio pericoloso e non di rado fatale.

Per chiudere, due brevi note. In tutta la vicenda, l’unica bella figura la fa il nuovo Governo socialista spagnolo, che si è offerto di accogliere i profughi autorizzando la Aquarius ad attraccare nel porto di Valencia. Quanto alla Aquarius stessa, la sua storia recente è appena stata raccontata in un volume a fumetti, “Salvezza”, fedele resoconto di due giovani autori che per diciannove giorni hanno viaggiato a bordo della nave per seguire le operazioni di soccorso. Quasi una premonizione, verrebbe da dire. Un libro che, alla luce degli ultimi sviluppi, appare ancora più necessario e urgente. Necessario perché riporta in maniera oggettiva fatti, numeri e dati dell’immigrazione, al di là delle strumentalizzazioni politiche. Urgente perché risponde all’urgenza di dare voce ai protagonisti di queste drammatiche vicende, da un lato i profughi scampati a un viaggio infernale e agli orrori dei campi di detenzione libici, dall’altro i soccorritori che vanno a ripescarli in mare salvando le loro vite, perché lo ritengono giusto, umano e doveroso, anche a costo di essere poi oggetto di accuse infondate e infamanti. Testimonianze che meriterebbero maggiore visibilità presso l’opinione pubblica, troppo spesso bombardata da notizie distorte o fasulle, che continuano ad avere grande diffusione perché utili allo sporco gioco dei seminatori di odio, alla ricerca di facili capri espiatori a cui addossare i nostri problemi, senza peraltro risolverli, visto che le cause sono da tutt’altra parte.

 

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