Uno storico “Macbeth” diretto da Riccardo Muti
Il grande Maestro ha diretto l’opera di Verdi nel cinquantesimo anniversario del suo debutto a Firenze.
Macbeth di Verdi, diretto dal Maestro Riccardo Muti nell’ambito del Maggio Musicale Fiorentino, ha celebrato il cinquantesimo anniversario del suo debutto a Firenze, nella città per la quale il sommo direttore d’orchestra ha tanto dato in anni giovanili. Il suo ritorno, prima di portare la medesima esecuzione al Ravenna Festival, è stato salutato da un trionfo che va oltre il successo ed apre subito prospettive di storicità se è possibile senza eguali termini di paragone e qualità esecutiva. Riccardo Muti, che non è certo al suo primo Macbeth, – lo incise in un’esecuzione di riferimento, dopo averlo diretto la prima volta proprio a Firenze nel 1975, lo portò alla Scala negli anni in cui era direttore musicale del teatro milanese e poi lo diresse al Festival di Salisburgo e all’Opera di Roma – ritorna oggi su questa amata partitura e la ridisegna con nuove sfumature, con una profondità interpretativa senza mezzi termini miracolosa. Muti non è solo il più ispirato direttore verdiano vivente, ma è quel che si può definire un esegeta del verbo musicale verdiano in continua ricerca di rinnovare la propria vocazione per questo repertorio. L’esecuzione è in forma di concerto, ma ascoltandola appare da subito la più teatrale delle esecuzioni possibili.
Non serve la regia, non servono spettacoli spesso depistanti, se non addirittura stupidi, per andare al cuore dell’anima verdiana, che il Maestro sviscera cercando il senso del teatro nella musica stessa. Mille particolari balzano all’attenzione dell’ascoltatore quando la verdianità accesa e infiammata delle prime esecuzioni si stempera in sonorità più pacate; essa viene avvolta in un’aura di mistero che accentua il senso di tragico presagio e la dimensione soprannaturale che rende la partitura del Macbeth così arcana, quasi un sinistro soffio spettrale che si innerva in ogni cosa attraverso fremiti, pause, silenzi e dettagli strumentali di inesauribile varietà, sempre in bilico fra desiderio di potere e abbandono alla maledizione che punisce l’ambizione dei protagonisti rendendoli man mano fragili e indifesi dinanzi ad un destino di morte che regola tutto. Non si può, anche dinanzi alla volontà di acquisire il potere attraverso il delitto, vincere la forza di un malefizio che catarticamente getta nella polvere chi ha osato troppo, rendendo spesso l’uomo ciecamente smanioso nel perseguire il male.
Tutto questo va colto fra miriadi di intuizioni rese enigmatiche dall’utilizzo di piani e pianissimi e dal contrasto messo in essere con l’esplosione di suono di un concertato conclusivo del primo atto che non si era forse mai sentito così autenticamente verdiano nel respiro serrato ma intenso delle sue arcate; non una massa sonora che travolge dinanzi al terrore per la scoperta del delitto regale commesso, ma un suono che, come un grande mantello scuro, avvolge tutto nel più ipnotico mistero. Che dire poi del Brindisi nella scena del banchetto, che nella ripresa viene staccato con un senso di paura che trascende la gioia stessa del momento e fa cogliere l’espressione del terrore sul volto di tutti, seguito dal tremolio degli archi alle parole di Macbeth “La vita riprendo!” dopo l’apparizione del fantasma di Banco. Inutile ribadire che Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino, in forma splendente, offrono ai cantanti, grazie al genio di Muti, sonorità, fraseggi e soluzioni espressive che concedono a tutte le voci di esprimere il meglio delle proprie possibilità, o più ancora di toccare traguardi che mai si sarebbero immaginati da talune di loro.
Si sa infatti che il già affermato soprano coreano Vittoria Yeo non è voce drammatica, davvero troppo lirica per essere una vera Lady Macbeth, anche nell’accento e non solo per il corpo di voce. Ma la luminosità del timbro, la sicurezza del canto e la saggia gestione dei propri mezzi la rende credibile sopra ogni aspettativa. Addirittura trasfigurato appare Luca Salsi, che ha sì voce di baritono di riconosciuto valore in Verdi, ma talvolta lo si era visto eccedere in sottolineature e portamenti che qui spariscono dinanzi ad un fraseggio modulatissimo e sempre motivato dell’espressione teatrale. Accurato appare l’utilizzo della mezzavoce (che spesso gli viene richiesta da Muti) e, appunto, il senso scultoreo della parola, così naturale in senso drammatico da farne un Macbeth addirittura splendido per le sfaccettature shakespeariane che lo vogliono ora altero, ora corroso dal dubbio e dal rimorso che gli si palesa attraverso visioni spettrali. Bravissimo anche Riccardo Zanellato, un Banco nobile eppure mai banalmente cavernoso, anche lui sempre attento alla parola ed al suo significato espressivo, oltre che vocalmente impeccabile. Francesco Meli canta “Ah, la paterna mano” come meglio non si potrebbe immaginare, con la sua voce bellissima che si piega ad un canto carico di commossa emozionalità.
Insomma tutti magnifici, grazie ad un Riccardo Muti che già poco tempo fa, all’Auditorium del Lingotto di Torino, con l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, la “sua” orchestra, si ascoltò con ammirazione stupefatta in una serata concertistica non meno memorabile, organizzata nell’ambito della stagione di Lingotto Musica, dove insieme ai ballabili e alla sinfonia da I vespri siciliani di Verdi si ascoltarono celebri pagine sinfoniche del repertorio verista (gli intermezzi da Cavalleria rusticana, da I pagliacci e da Fedora), pulite da ogni eccesso ma cariche di una solarità mediterranea avvolgente. Un Riccardo Muti in stato di grazia, uno degli ultimi maestri della grande scuola direttoriale italiana che prova a mantenersi viva nel talento di tante giovani bacchette, alcune già internazionalmente affermate, ma le capacità delle quali, per quanto indubbie, dopo l’ascolto di questo Macbeth fiorentino finiscono per apparire quelle di scolaretti immaturi. Potenza del genio di Muti e della sua profonda maturità, ma anche di quello studio e di quella disciplina toscaniniana che finisce per rendere grottescamente insensate le riserve mossegli dai suoi irriducibili detrattori.
Muti prosegue il suo cammino di musicista in grado, come ha fatto a Firenze, di consegnare alla storica una esecuzione musicale. Trionfo senza macchia e negli intervalli e alla fine dell’opera in molti hanno firmato la petizione voluta dal Maestro stesso per riportare le spoglie mortali di Luigi Cherubini dal cimitero di Père-Lachaise di Parigi alla Basilica di Santa Croce a Firenze, dove un fiorentino che ha reso grande in Francia il nome dell’Italia nel mondo, in quella che fu la capitale delle musica europea, possa ritornare a riposare nella sua città, come per sua stessa volontà si dice volesse. Impresa forse non facile, ma Riccardo Muti, da sempre, è uomo che certo non si rassegna e sa combattere battaglie apparentemente impossibili da sostenere, spesso vincendole.
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