Il senso di una lettera

La lettera indirizzata da Benedetto XVI ai cattolici d’Irlanda circa gli abusi sessuali su minori compiuti da membri del clero che è stata resa nota il 20 marzo scorso era molto attesa, in un clima marcato dalle documentate accuse contenute nel cosiddetto “Rapporto Murphy”, che di fatto metteva sotto accusa almeno cinquant’anni di gestione della Chiesa irlandese circa questo gravissimo dossier, focalizzandosi in particolare sugli ultimi Arcivescovi di Dublino e sui loro ausiliari nel frattempo divenuti Vescovi residenziali di altre Diocesi. Alcuni di questi Vescovi sono già stati costretti alle dimissioni, altri sono in procinto di rassegnarle, e fra di essi pare esserci anche l’attuale Arcivescovo di Armagh e Primate d’Irlanda Sean Baptist Brady – che lo stesso Benedetto XVI aveva chiamato alla porpora cardinalizia- il quale ha ammesso di aver partecipato all’insabbiamento di un caso di pedofilia da giovane sacerdote nel 1975.
Diciamo subito che la lettera pontificia è un documento alto, dolente e anche impietoso nel momento in cui mette in chiaro la gravità dei fatti, la condanna senz’appello dei colpevoli ed anche dei Vescovi che, mancando gravemente al loro dovere di pastori e di maestri, hanno evitato di denunciare alle autorità civili i colpevoli di questi gravi crimini limitandosi a trasferirli di parrocchia in parrocchia, dove reiteravano i loro crimini, o a sottoporli a blande e sostanzialmente inutili terapie psichiatriche.
Assolutamente sinceri, ed anche commoventi, sono gli accenti con cui il Pontefice si rivolge alle vittime degli abusi e dei loro familiari, esprimendo “vergogna e rimorso” e comprensione per il rapporto ormai incrinato fra queste persone e la Chiesa. Altrettanto chiare, ed anche severe, sono le parole rivolte ai responsabili degli abusi, a cui è richiesto un serio pentimento e contemporaneamente la sottomissione alle esigenze della giustizia terrena, cui dovranno essere affidati, e ai Vescovi, cui vengono rimproverate le loro evidenti mancanze di vigilanza e di carità.
Alcune perplessità in effetti sorgono laddove il Pontefice cerca di dar conto delle ragioni che hanno determinato questa triste situazione, che peraltro si sta allargando in termini pesanti non solo nell’ Isola di Smeraldo ma anche in Germania, in Austria, come già negli USA (e qualcosa pare stia emergendo anche nel nostro Paese). Secondo il rapporto della commissione Murphy i primi casi documentabili risalgono agli anni Trenta del secolo scorso, ed è probabile che solo la difficoltà nella raccolta delle testimonianze abbia impedito di andare ancora più indietro. Ora, settant’anni fa l’Irlanda era una delle roccaforti della Chiesa cattolica, un Paese estremamente tradizionalista, in cui di fatto la Gerarchia ecclesiastica costituiva un potere sostanziale accanto a quello ancora tutto da consolidare di una Nazione che da poco, a prezzo di guerre sanguinose, aveva ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna.
Nella sua lettera Benedetto XVI punta il dito contro la “rapida trasformazione e secolarizzazione della società irlandese”, il che avrebbe portato a disattendere “le pratiche sacramentali e devozionali che sostengono la fede e la rendono capace di crescere, come ad esempio la frequente confessione, la preghiera quotidiana ed i ritiri annuali”. Aggiunge poi che “Il programma di rinnovamento del Concilio Vaticano Secondo fu a volte frainteso e in verità, alla luce dei cambiamenti sociali che si stavano verificando, era tutt’altro facile valutare il modo migliore per portarlo avanti”.
Più avanti tuttavia si esprimono altre diagnosi sulle ragioni della grave crisi: “Procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati; una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali…”.
E’ come se due diversi livelli di analisi si sovrapponessero, senza soluzione di continuità: d’altro canto è molto difficile pensare ai fenomeni di pedofilia come ad una conseguenza di una secolarizzazione che negli anni Trenta irlandesi era ancora molto di là da venire, ed il richiamo al Concilio appare come una sorta di masso erratico di difficile classificazione, a meno che non sia un semplice richiamo temporale. Più aderente ai fatti la seconda parte, soprattutto il richiamo bruciante al “favore per il clero” e alla maldestra concezione del “buon nome della Chiesa”, che sono il segnale di un rapporto ancora irrisolto fra la Chiesa ed una società mediatica e secolarizzata, che accetta la figura dei leader religiosi come “superstar”, ma nello stesso tempo, da affilata arma a doppio taglio, pretende di entrare nelle vicende interne alle varie istituzioni senza troppo rispetto e, in nome della logica propria della comunicazione, rimestando nelle questioni più morbose.
In effetti, un problema per il clero e per la sua formazione c’è, ed è il vero punto dolente di questa fase storica della Chiesa cattolica, ma viene da lontano e non si esaurisce nella troppa facile polemica sul celibato sacerdotale (più esattamente: sul celibato del clero secolare, visto che le forme di vita religiosa conosciute dalla Chiesa cattolica come da quasi tutte le altre Chiese cristiane implicano il voto di castità), che anzi appare come una questione marginale rispetto agli abusi sui minori (alla fine, la maggior parte di violenze di natura pedofila si consumano all’interno delle famiglie, da parte di persone che non hanno alcun vincolo al celibato o alla castità). No, il problema reale è quello della crisi probabilmente definitiva del modello sacerdotale proposto dal Concilio di Trento in poi, che insisteva su di una disciplina rigorosa di vita e di studi per fare del prete il capo, il leader naturale del territorio in presenza di poteri civili invasivi, anche se dichiaratamente cristiani, e di una massa amorfa ed analfabeta di plebe priva di ogni diritto civile e politico. La secolarizzazione ha eroso questo modello, ed ha determinato una crisi profonda rispetto alla discrasia fra la realtà dei fatti ed uno schema educativo ancora fissato sulla dimensione precedente, che la riforma del Vaticano II ha intaccato solo marginalmente, e che spesso anzi negli ultimi anni ha visto il ritorno a forme nostalgiche. Molti psicanalisti che hanno seguito le terapie di sacerdoti rei di violenze pedofile, soprattutto negli USA, hanno rilevato come, più che la frustrazione sessuale, abbia giocato in questi terribili abusi una volontà di esercizio di un potere incontrollato su soggetti deboli, forse a riscatto di una vocazione andata a male o, più in generale, di una perdita del ruolo di potere della figura del prete nella società. E’ dubbio che il modello formativo di alcune congregazioni o di movimenti religiosi ai quali è stato concesso improvvidamente di crearsi un “proprio” clero, basato sul rigorismo e su di un’idea castale del ruolo del prete (che in qualche modo arieggia il modello del Seminario lefebvriano di Econe) possa servire a contrastare questa crisi. Anzi, a volte accade il contrario come dimostra la penosa vicenda di mons. Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, congregazione tradizionalista assai gradita in Vaticano finché non emersero alcuni particolari della vita del fondatore, che non solo abusò di giovani candidati al sacerdozio, ma ebbe numerosi figli da svariate concubine, e a quanto pare abusò anche di qualcuno di essi.
Ha poi ragione mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, quando afferma che uno dei problemi determinati dal calo delle vocazioni sta nel fatto che in molte Diocesi si sono accettati candidati al sacerdozio, magari provenienti da altri territori ed allontanati da altri Seminari, sprovvisti delle necessarie virtù umane e religiose o anche privi di equilibrio psichico, con la conseguenza di dare adito a degli scandali di varia natura.
Si tratta di problemi reali, che vanno al cuore del modello formativo e della figura stessa del prete nella vita della Chiesa e della società, e che certo non possono essere risolti nell’àmbito di una lettera che peraltro si rivolge ad una sola porzione della Chiesa universale. Il Papa, confermando la sua natura di uomo di fede e di preghiera, ha consigliato soprattutto la penitenza, la meditazione , l’adorazione eucaristica come rimedi ad una grave crisi spirituale. Ma a questa medicina indispensabile dovranno prima o poi accompagnarsi anche interventi strutturali che ricollochino in pienezza di vita il ministero sacerdotale nella comunità ecclesiale.

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