La scommessa della finanziaria giallo-verde

Per il 2019 l’impegno preso con l’Europa, ma ancor più con noi stessi come Paese, nel perseguire l’indispensabile percorso di risanamento delle nostre finanze, era un rapporto deficit/Pil dello 0,8 per cento. Poi l’Unione europea, come sempre avviene in occasione di una legge di bilancio di uno qualsiasi dei suoi Stati membri, aveva allargato un po’ le maglie, concedendo l’1,6 per cento. La prima legge di bilancio del governo giallo-verde ci scodella invece una soglia del 2,4 per cento. Un vero e proprio azzardo che rischia di mandarci in rotta di collisione con le autorità centrali europee, che chiederanno chiarimento e forse anche delle correzioni, ma soprattutto mette in dubbio la nostra volontà di restituire un serio equilibrio al nostro bilancio. Per i mercati – che non sono entità nemiche dell’Italia come taluni sembrano pensare, ma gli investitori internazionali su cui si conta per l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali – qualche ulteriore dose di incertezza che certo non aiuta a renderci un Paese attrattivo.

Punto cruciale, in realtà, al di là delle valutazioni dei mercati, è peraltro quello di capire quanto le misure della legge di bilancio siano realmente idonee per avviare la crescita. E su questo, spiace dirlo, si pongono molti interrogativi. A preoccupare non è neppure il deficit in sé, ma le voci che lo creano. Tutto poggia sul solo lato della spesa corrente, tra reddito di cittadinanza e riassetto previdenziale, mentre è risulta mancante quella investimenti: scuola, ricerca o infrastrutture. L’altro grande capitolo è poi l’avvio della flat tax, che non accresce le spese ma, in barba a qualsiasi equità, penalizza i redditi più bassi e premia quelli più abbienti.

Vi è un errore di fondo in questa impostazione, il cui unico merito, va pur detto, è di rispettare quanto promesso agli elettori in campagna elettorale. Non è poco e va ascritto al merito di Lega e M5S, perché questa coerenza, dopo le tante promesse a vuoto sia del centro-sinistra che della Casa delle Libertà, può contribuire a riavvicinare la gente alla politica. Però la coerenza, per meritoria che sia, non basta ad assicurare la crescita, in quanto le misure intraprese non paiono, nel loro complesso, andare in quella direzione.

Siamo, insomma, dinanzi ad una scommessa. Si scommette cioè che possa venir indotto un certo sviluppo a partire da quanto messo in campo, in termini di maggior reddito nelle tasche dei cittadini. Filo conduttore della flat tax (per ora solo per le piccole imprese), e soprattutto del reddito di cittadinanza è proprio questo: qualcosa alle fasce più deboli per alimentare i consumi e, con questi, accendere le luci della crescita. Basterà? Lo speriamo vivamente ma è lecito dubitarne. Di veramente positivo c’è l’aumento delle pensioni minime alla fatidica soglia dei 780 euro, il reddito di cittadinanza, senza adeguati controlli (e la nostra pubblica amministrazione ai controlli è ben poco attrezzata) rischia solo di accrescere l’assistenzialismo e persino il lavoro nero. Della flat tax, che merita un discorso più approfondito, è evidente la natura regressiva, peggio ancora di un aumento dell’Iva.

In definitiva, questa legge finanziaria, certamente di rottura rispetto al passato (un passato peraltro non certo esaltante) risulta davvero poco credibile nel suo insieme. Meglio sarebbe stato puntare sul salario minimo per legge piuttosto che sul reddito di cittadinanza; meglio stanare l’evasione fiscale con meccanismi analoghi a quelli delle detrazioni sul risparmio energetico, estesi ai lavori di manutenzione, dal carrozziere all’idraulico, ecc..; meglio avviare un primo abbozzo di quoziente familiare che intestardirsi sulla flat tax.

In ogni caso, il menu giallo-verde è questo e con questo dovremo confrontarci, sperando che la ricetta sia davvero quella giusta. Se ci sarà una robusta ripresa si parlerà di manovra coraggiosa se questa mancherà si parlerà solo di una manovra imprudente. Come sempre, sarà il tempo a far chiarezza.

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