Migranti climatici, da Terra Madre un campanello d’allarme e le possibili soluzioni
Migranti climatici, da Terra Madre un campanello d’allarme e le possibili soluzioni
L’equivalente di 400.000 bombe atomiche come quella di Hiroshima che esplodono ogni giorno, per 365 giorni all’anno. Questa è l’immagine ad effetto che il climatologo James Hansen ha utilizzato per rendere plasticamente l’idea di quale sia il surplus di energia che il sistema Terra acquisisce ogni giorno a causa del surriscaldamento globale. Surriscaldamento dovuto all’effetto serra, a sua volta causato dall’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera, in massima parte legato alle attività antropiche, come ormai afferma concordemente la grande maggioranza della comunità scientifica internazionale.
Quando sentiamo dire che la temperatura del pianeta è aumentata mediamente di un grado negli ultimi anni, pensiamo a questo paragone e avremo subito l’idea del livello di emergenza al quale siamo arrivati, che non consente di proseguire con l’attuale modello di sviluppo e impone di adottare immediatamente soluzioni adeguate. Anche perché la calzante affermazione di Hansen risale a qualche anno fa e la situazione nel frattempo è ulteriormente peggiorata. E non sembri fuori luogo l’accostamento con una bomba che ha causato migliaia di vittime, visto che i cambiamenti climatici fanno altrettanto, già oggi e ancor più nel prossimo futuro, se non adottiamo fin da subito efficaci contromisure.
Il pericolo si manifesta in due modi: il primo è quello del moltiplicarsi degli eventi estremi, come uragani e alluvioni, destinati a crescere come numero e come potenza distruttiva. Fenomeni di cui conosciamo la pericolosità perché molto visibili e quindi enfatizzati dai mass media, ma tutto sommato circoscritti. L’insidia principale sono invece gli effetti sul medio periodo, più subdoli perché spalmati su tempi più lunghi, che ne attutiscono la percezione, ma i cui effetti alla lunga sono ancora più devastanti. Parliamo di processi come la desertificazione, lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento delle acque, che già oggi causano carestie e situazioni di conflitto alla base di quelle che vengono definite “migrazioni climatiche”, un fenomeno attualmente agli inizi, ma destinato a crescere in modo esponenziale.
L’argomento è stato affrontato a Terra Madre, dove si è cercato di analizzare possibili soluzioni a un problema complesso e di proporzioni globali. Il primo ostacolo, ha evidenziato Cristina Franchini dell’UNHCR-ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) è che, contrariamente a quanto succede per le motivazioni politiche o razziali, non esiste nella Convenzione di Ginevra la definizione di “Rifugiato ambientale”, quindi occorrerebbe cambiare questa definizione oppure provare ad ampliare la Convenzione, cosa non semplice.
Certo è che, prosegue Franchini, il cambiamento climatico contribuisce ad acuire i problemi nelle zone critiche. A quel punto, fa notare Grammenos Mastrojeni, funzionario del Ministero degli Affari Esteri che si occupa di Cooperazione Internazionale, diventa difficile capire se un migrante fugge dalla desertificazione o dalla persecuzione di bande di terroristi che si insediano su un territorio in crisi, per cui i criteri di accoglienza dovrebbero tenere conto della gravità della situazione nei luoghi di origine delle migrazioni. Questo perché, chiarisce Mastrojeni, la zona dove è in corso il più esteso fenomeno di desertificazione, ovvero la fascia sub-sahariana che corre dalla Nigeria al Corno d’Africa, è proprio quella dove si registrano i maggiori movimenti terroristici del Continente Nero. Le mappe che evidenziano l’avanzata della desertificazione si sovrappongono quasi perfettamente a quelle che mostrano i territori dove agiscono le formazioni terroristiche che infestano la fascia del Sahel, da Boko Haram in Nigeria a Al-Shabaab in Somalia, passando per al Qaida nel Maghreb.
Conseguentemente, è proprio dai Paesi che vengono attraversati da questa fascia che proviene la maggior parte dei migranti che approdano in Italia, praticamente nove su dieci. Il decimo, prosegue Mastrojeni, proviene in genere dalla fascia costiera del Bangladesh, che a causa dell’innalzamento delle acque dei mari è soggetta ad alluvioni sempre più devastanti e a un progressivo processo di salinizzazione delle falde acquifere, causato dall’infiltrazione delle acque marine in aree sempre più estese del sottosuolo costiero. L’innalzamento dei mari è solo uno dei tanti effetti del riscaldamento globale, che scioglie i ghiacciai e contribuisce al processo di desertificazione di cui si parlava prima.
Lo scioglimento dei ghiacciai, evidenzia Mastrojeni, che fa anche parte dell’associazione internazionale Mountain Partnerhip, non è un problema che riguarda solo i territori alpini: basti pensare che dalle nevi dell’Himalaya nascono quattro dei maggiori fiumi dellAsia. Perdere i ghiacciai significa perdere i serbatoi che regolano il ciclo delle acque, interponendosi fra precipitazioni e deflusso, col rischio di avere un’ulteriore estremizzazione di siccità e alluvioni. Questo perché le precipitazioni continuerebbero ad avere gli stessi volumi, ma concentrati in tempi più stretti, quindi sarebbero più violente e andrebbero a dilavare lo strato superficiale del terreno, compromettendone la fertilità.
Per far fronte a questo rischio, uno dei progetti della Cooperazione Internazionale seguiti dallo stesso Mastrojeni ha adottato una soluzione semplice e a basso costo, quella di scavare delle buche a forma di mezzaluna, in grado di frenare e trattenere l’eccesso di precipitazioni, formando pozze d’acqua dove poi la vegetazione spontanea trova modo di insediarsi, contribuendo a consolidare il terreno e a renderlo più fertile. In questo modo si consente alle popolazioni locali di continuare a coltivare produttivamente la propria terra, anziché essere costretti a migrare e finire poi nelle mani dei trafficanti di uomini.
I progetti di Cooperazione Internazionale sono dunque un grosso aiuto per contrastare la povertà e le migrazioni: secondo i dati che l’Italia ha comunicato alla Convenzione ONU per i Cambiamenti Climatici, nel 2016 hanno prodotto benefici quantificabili nell’equivalente di 180 milioni di euro. Un buon risultato, ma non è sufficiente: se non agiamo immediatamente per contrastare i mutamenti climatici e i loro effetti, ammonisce Mastrojeni, dovremo fronteggiare carestie e migrazioni di proporzioni bibliche.
Le stime parlano di 300 milioni di persone dai deserti, 800 milioni da montagne e vallate sconvolte dalla perdita dei ghiacciai e dall’irregolarità delle portate dei fiumi, 500 dalle zone costiere devastate dall’innalzamento dei mari, per un totale di oltre un miliardo e mezzo di potenziali migranti. Anche riducendo del 50% tali stime, rimane il rischio di avere 750 milioni di persone in movimento nel giro di pochi anni.
Se pensiamo che l’Europa è entrata in crisi, ha evidenziato Franchini, per poche centinaia di migliaia di profughi – più o meno lo stesso numero di quelli accolti dal minuscolo Libano – che rappresentano meno di un millesimo delle cifre paventate, c’è di che essere preoccupati. Per questo occorre agire subito, e uno dei modi più efficaci, rapidi e alla portata di tutti è quello di indirizzare bene le proprie scelte alimentari.
La “piramide” con cui viene rappresentata la dieta mediterranea, che privilegia il consumo di frutta e verdura riducendo quello di carne, ci ricorda come questo tipo di alimentazione sia salutare per le persone, ma parallelamente lo è anche per l’ambiente. Un minor consumo di carne contribuisce a diminuire le emissioni di anidride carbonica e, di conseguenza, a mitigare il riscaldamento globale che sta cambiando il clima.
Gli interessi dell’ambiente e quelli della nostra salute, ci dice il messaggio di Terra Madre, coincidono: possiamo contribuire a contrastare i cambiamenti climatici tornando a mangiare sano, secondo il modello alimentare della nostra tradizione, beneficiando anche noi stessi. Poi, non sarebbe male aumentare i progetti di cooperazione col Sud del mondo, ma i governi imboccheranno questa rotta solo sotto la spinta dei cittadini, mentre oggi il vento sembra soffiare in direzione opposta.
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