Il paese dei prodi draghi

Nell’immaginario collettivo, e nella storia e nella cultura di ognuno di noi, esistono figure mitiche che, a seconda dei nostri retaggi, possono rappresentare il bene o il male. Nel bagaglio della conoscenza che appartiene al mondo occidentale, il drago rappresenta prevalentemente una figura negativa: abbiamo ben chiare le immagini di san Michele che lo uccide, perché prototipo del male assoluto. Invece, nella tradizione cinese, il dragone è da sempre un simbolo di buon auspicio.

Esisteva, un tempo, al centro del Mediterraneo, una terra benedetta dove fiorivano gli ulivi. In quella terra nei secoli contesa, che con difficoltà cercava di trovare una sua identità nazionale, talvolta intervenivano soggetti esterni a condizionarne la vita politica, spesso asfittica, impotente o incapace. Alcuni di questi rappresentarono una calamità per quella stremata landa, soprattutto quando provenivano dal mondo televisivo, o dallo spettacolo umoristico o dall’assoluta insignificanza professionale precedente. Talvolta, poi vi pervenivano in aiuto magici esperti, migrando da mondi potentissimi, che le davano una certa spinta positiva, finché non si montavano la testa, pensando di essere onnipotenti salvatori. In rari casi, invece, entravano in azione i “prodi draghi” che, fino a quando li lasciavano lavorare, potevano trarre il paese fuori dalle pericolose paludi mortali.

Fuori di metafora, la classe politica italiana, nel secondo dopoguerra, talvolta ha dovuto (potuto) ricorrere a personaggi “esterni” che hanno dato un contributo positivo alla nazione (lasciamo senza risposta la domanda sul perché, molto spesso, si sia ricorso al suo esterno). Si iniziò con Einaudi, proveniente dalla Banca d’Italia, serbatoio che fornì anche, con alterni risultati, Carli, Dini e Ciampi ed altri. Il mondo universitario è stato un’altra grande riserva di talenti, spesso però con effetti discutibili, soprattutto negli ultimi tempi. Ugualmente si ricorse anche ad esponenti dell’economia privata, in questo caso con un bilancio ancor più incerto. Per coloro i quali si riconoscono in un recente progetto di centro sinistra progressista e democratico (poi abortito nei suoi fondamentali), la figura più nota di “tecnico” (sui generis) “prestato” alla politica è stata quella di Romano Prodi, che ebbe grande consenso (in quel mondo), ma anche una certa ostilità interna, che contribuì ad affossarne troppo presto il lavoro. A che punto è, oggi, quell’allora importante parte della società italiana? Ci sembra che stia vagolando nel buio e non abbia alcuna luce che la possa condurre fuori della sua crisi (e di quella del paese).

Nel 2019 ci saranno le elezioni europee che sembrerebbero essere il punto di definizione del futuro dell’attuale Governo italiano: a seconda dei risultati, non solo di quelli nazionali, si potrebbe ritornare o meno alle urne per il nostro Parlamento (in quali condizioni?). Cosa succederà, allora, nel mondo del riformismo? Difficile dirlo, le prospettive sono molto incerte, ma, continuando ad insistere sulla metafora iniziale, si potrebbe dire che occorrerà un altro dei “prodi draghi” per salvare l’Italia. Bisognerà vedere se, scaduto il mandato del più noto di questi alla Banca Centrale Europea, lo si invocherà come “salvatore super partes” sulle macerie fumanti della nostra convivenza civile ed economica, o lo si convincerà, prima, ad entrare nell’agone politico, alla guida di uno schieramento lungimirante, che possa effettivamente condurre l’Italia fuori dalle attuali e dalle prossime secche, con la speranza che non ci siano, appena dietro l’angolo, falsi amici che tentino di ucciderlo anzitempo, continuando, nuovamente e sempre in malo modo, il perdurante masochismo che sembra contraddistinguere una certa parte politica nazionale.

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