Brasile, con Bolsonaro l’estrema destra al potere
Jair Bolsonaro, candidato dell’estrema destra, è il nuovo presidente del Brasile, dopo un elezione nella quale, con il 55 per cento dei voti, ha staccato di dieci punti il rivale di centro-sinistra Fernando Haddad. Questi, pur rendendosi autore di una notevole rimonta, non è riuscito a colmare il distacco accumulato al primo turno, dove si era trovato sotto di diciotto lunghezze. Il Brasile dopo dodici anni di presidenze di sinistra – due mandati per Ignacio Lula da Silva (2002 e 2006) ed altrettanti per Dilma Roussef (2010 e 2014), fino alla sua destituzione e all’ultimo biennio del liberale Michel Temer – svolta decisamente a destra. Anzi verso la destra più estrema.
Bolsonaro è infatti il leader di un radicalismo a tinte reazionarie che potrebbe anche cambiare i connotati della più grande democrazia del continente sudamericano. Sostenuto dai grandi latifondisti e dai potentati economici che vorrebbero sfruttare ancor di più il bacino amazzonico, appoggiato dai gruppi religiosi evangelici per il suo ergersi a baluardo di un certo integralismo cristiano, forte del supporto della casta militare, risulta evidente la sua matrice ultraconservatrice. Una matrice che si è rivelata un buon trampolino di lancio per la sua candidatura, in una campagna elettorale nella quale mai ha nascosto le sue simpatie verso la dittatura militare che dominò il Paese tra gli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta. Eppure, nonostante questo biglietto da visita, non certo la carta di identità di un sincero democratico, Bolsonaro ha vinto.
I brasiliani si sono infatti mostrati, in larga maggioranza, delusi dalla sinistra che pure in questi ultimi quindici anni aveva dato buoni risultati sul piano di una maggior giustizia sociale. A pesare in negativo, gli scandali che hanno segnato la classe dirigente del Partito dei lavoratori (Pt), cui appartenevano sia Lula che la Roussef, culminati con la condanna dello stesso Lula per corruzione. Proprio l’ex presidente, a dimostrazione di un carisma mai tramontato, sembrava rappresentare l’ultima possibilità di riscossa del campo progressista, trovandosi in testa a qualsiasi sondaggio, dopo il deludente biennio di Temer. I guai giudiziari gli hanno però impedito di ricandidarsi e portabandiera della sinistra è divenuto Haddad, che non ha potuto far altro che limitare i danni di una sconfitta annunciata.
Bolsonaro ha saputo presentarsi come l’uomo nuovo, lontano dai maneggi della politica brasiliana. Un vero paradosso se si pensa che è in Parlamento da vent’anni dopo aver cambiato, secondo il tipico malcostume della democrazia carioca, diverse casacche. Il suo cavallo di battaglia è stato la sicurezza, classico tema della destra di qualunque latitudine e, altrettanto ovunque, questione sottovalutata dalla sinistra. Fenomeno che invece necessita di un indispensabile approccio repressivo, perché ad esserne più colpiti sono proprio le classi dei quartieri più poveri che poi, stufe di un andazzo lassista, votano per la destra.
Per il resto Bolsonaro promette un accentuato liberismo economico e tagli alla spesa nella scuola e nella sanità, che pensa di congelare addirittura per dieci anni. Marcia indietro anche sull’ambiente, dove si prospettano il via libera alla deforestazione e una deregulation sulle emissioni di carbonio nell’atmosfera. Quasi una sorta di Donald Trump in salsa carioca.
Vedremo dunque come evolverà la politica brasiliana; per intanto nessun processo alle intenzioni e, come sempre, massimo rispetto del responso democratico.
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