“Patria e Costituzione”, il patriottismo senza nazionalismo
Le prossime elezioni europee rischiano di essere un “muro contro muro” tra il fronte europeista e i vari nazionalismi, che guadagnano consenso quasi ovunque nella UE. E la colpa è proprio dell’Unione europea e dei partiti tradizionali, che hanno dimenticato i nobili principi e valori che avevano messo in moto il processo di coesione fra Stati e per troppo tempo hanno prestato attenzione unicamente a politiche economiche volte a favorire i grandi interessi finanziari, in un’ottica marcatamente neoliberista che ha finito per incidere negativamente sui livelli di vita della grande maggioranza dei cittadini.
Tutto ciò ha provocato disaffezione nei confronti dell’UE, anche perché gli stessi esecutivi nazionali non perdevano occasione per scaricare su di essa ogni malcontento, ripetendo il mantra “ce lo chiede l’Europa” ogni volta che emanavano qualche provvedimento impopolare. Dunque oggi non c’è da stupirsi se le rivendicazioni nazionaliste riprendono prepotentemente quota, portandosi dietro anche sciovinismo, sovranismo, xenofobia e demagogie varie. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso, verrebbe da dire ai plenipotenziari delle istituzioni europee e ai rappresentanti dei partiti tradizionali, che reagiscono alla perdita di consenso paventando sciagure e demonizzando (anche con qualche ragione, per la verità …) gli avversari, ma non cambiano di una virgola le loro politiche, né si degnano di fare un minimo di autocritica.
Ma davvero gli elettori europei dovranno esercitare una scelta obbligata tra coloro che difendono in modo sostanzialmente acritico un modello di Unione socialmente ingiusto ed evidentemente lontano dai cittadini, e coloro invece che, in nome di rivendicazioni sovraniste e populiste, rischiano di sfasciare un’Europa che, comunque, ci ha garantito settant’anni di pace e benessere come mai prima nella sua Storia?
Non è possibile conciliare la necessità di politiche comuni nell’UE con l’esigenza dei singoli Stati di recuperare un’autonomia tale da impostare scelte in grado di restituire ai propri cittadini dignità e diritti, per troppo tempo sacrificati sull’altare delle compatibilità economiche e di bilancio?
In altre parole, si può essere patrioti senza diventare nazionalisti? Qualcuno pensa di sì, e fra questi c’è Stefano Fassina, il primo a uscire (o a essere estromesso, dipende dai punti di vista) dal PD che Renzi stava costruendo a sua immagine e somiglianza, con uno slittamento verso posizioni centriste talmente marcato da essere in sintonia più con l’NCD di Alfano che con l’ala sinistra del suo stesso partito. In queste settimane, Faasina sta girando il Paese per promuovere la sua associazione “Patria e Costituzione“, che vuole appunto coniugare l’aspetto patriottico di rivendicare maggiore autonomia dalle gerarchie europee, coniugandolo però coi principi della Costituzione, che tutelano giustizia sociale e diritti dei cittadini senza trascendere in demagogie populiste e sovraniste.
Non un nuovo, ennesimo partito nella frammentata galassia della Sinistra, ma “Un’associazione – afferma Fassina – dalla parte del lavoro, per affrontare la domanda di comunità, di protezione sociale e culturale, per rideclinare il nesso tra sovranità democratica nazionale e l’Ue, per definire strumenti adeguati per lo Stato per intervenire nell’economia“.
Secondo Fassina, dal referendum sulla Brexit in poi, l’elettorato non ha perso occasione per lanciare un chiaro messaggio di ribellione a tutto ciò che veniva percepito come asservito o funzionale a un “sistema” supinamente succube ai dettami dell’economia neoliberista, ai “mercati”, ai potentati finanziari e alle linee guida delle istituzioni europee, improntate all’austerità e al contenimento del debito pubblico.
Molta di questa protesta – sostiene Fassina – proviene da elettori che facevano riferimento alla Sinistra, ma che non hanno più trovato le risposte che cercavano in questa parte politica che pare aver smarrito la bussola dopo il Crollo del Muro di Berlino nell’89 e stenta a ritrovare una propria identità che non sia il riflesso sbiadito della destra liberista o il velleitario ritorno a ideologie sepolte dalla Storia.
Non è un problema solo italiano: in tutta Europa (e non solo) la Sinistra è in crisi di consenso, ma nel nostro Paese appare anche frammentata e incapace di trovare un terreno comune. Un’occasione in questo senso si è avuta con la costituzione di un ampio fronte che si opponeva, non solo da sinistra per la verità, al tentativo di riforma della Costituzione fortemente voluto dal PD “renziano”. Ma una volta ottenuta la vittoria, le varie anime della Sinistra sono tornate a disgregarsi.
Come del resto si è disgregato lo stesso PD, come struttura e come elettorato, dopo l’esperienza della segreteria di Renzi, il “leader” più divisivo che il partito abbia avuto: in tal senso, non va dimenticato il suo sarcastico “Chi?”, rivolto proprio a Fassina, che determinò la fuoriuscita di quest’ultimo dal partito, peraltro solo la prima di una serie di uscite di personaggi di spicco, emarginati perché non in sintonia con la linea dettata da Renzi, che alla fine ha provocato una frattura insanabile e la conseguente scissione di LeU.
Ma non è su questo che Fassina pone l’accento, quanto piuttosto sulla progressiva perdita di sovranità nei confronti delle gerarchie dell’Unione europea che sta caratterizzando i singoli Stati, i rispettivi Parlamenti e, in definitiva, il popolo degli elettori, che vede vanificate le proprie scelte da imposizioni calate dall’alto in nome di superiori interessi economici.
Un atteggiamento, quello dei vertici europei, di autoreferenzialità e sordità alle rivendicazioni dei cittadini che alla fine ha portato al successo dei populisti, in continua crescita perché visti come unico antidoto al “sistema”, data la perdurante latitanza di una Sinistra che si auto confina – secondo Fassina – su valori e battaglie di nicchia, ricevendo il plauso delle classi elevate, ma perdendo il contatto e il consenso delle classi medie e basse, un tempo il suo elettorato di riferimento, oggi migrato sotto altre bandiere, in particolare quella dei Cinquestelle, che hanno in parte colmato il vuoto lasciato dalla Sinistra.
Secondo Fassina, è fondamentale recuperare sovranità nazionale nei confronti delle burocrazie dell’UE, ma tenendo come bussola di riferimento la nostra Costituzione, per evitare che il patriottismo viri in nazionalismo e perché la sovranità popolare non si tramuti in sovranismo.
Occorre recuperare spazi di manovra politica ed economica per porre fine a quella svalutazione del lavoro resa possibile dai Trattati Ue e dalla stessa conformazione della cosiddetta Unione, che in realtà risulta essere un insieme di Paesi estremamente disomogeneo, caratterizzato da condizioni lavorative, economiche, sociali e fiscali troppo diversificate per poter coesistere semplicemente sulla base di una unione monetaria.
Occorre, soprattutto, ri-costruire un’Europa che ponga nuovamente al centro le persone, invece del Capitale. Un’operazione complessa, visto che lo stesso Fassina è convinto che l’Unione europea abbia deviato in maniera voluta e consapevole rispetto alle linee guida dettate dai Padri fondatori, andando a siglare accordi e costruendo strutture che avevano il preciso scopo di favorire mercati e finanza.
Tuttavia, proprio su quell’assunto di voler “rimettere al centro le persone”, il movimento ispirato da Fassina trova una convergenza con un’altra grande scuola di pensiero: quella della dottrina sociale della Chiesa.
Chissà che non sia la volta buona nella quale tutti coloro che vogliono ridare centralità alla persona – in quanto portatore di diritti inalienabili per i laici, o in quanto creatura di Dio per i credenti – riescano finalmente a trovare un dialogo e un terreno comune per opporsi a coloro che, invece, continuano a porre il Capitale sopra ogni cosa, relegando i cittadini al ruolo di semplice fattore produttivo, valutato asetticamente e unicamente in termini di costi e benefici.
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