Comunità energetiche – Pro Natura
Nelle scorse settimane a Palazzo Ceriana Mayneri di Torino è stato presentato il progetto di Comunità energetica che si vuole avviare nel pinerolese, sotto la guida di ACEA, società pubblica di proprietà di una cinquantina di comuni consorziati, in qualità di capofila del CPE (Consorzio Pinerolo Energia).
A prendere la parola è stato Francesco Carcioffo, Amministratore delegato di Acea, che ha sottolineato la natura pubblica e territoriale dell’azienda, rivendicandone il successo (5 milioni di utile netto) e la valenza nell’economia locale, con investimenti effettuati sia per dovere istituzionale che in un’ottica di sviluppo, con conseguente maggiore richiesta di energia. Naturale dunque il coinvolgimento dell’azienda nel progetto di comunità energetica che si vuole sviluppare nel pinerolese, primo esempio in Italia.
Questo grazie alla Legge Regionale che ha dato il via libera alla costituzione delle comunità energetiche, prevedendo un finanziamento di 100.000 euro in due anni, votata – come ha evidenziato Alfredo Monaco, consigliere primo firmatario del provvedimento – all’unanimità da tutti i gruppi consiliari e che – come ha ricordato Silvia Riva, dirigente Sviluppo Energetico Sostenibile della Regione Piemonte – recepisce l’indicazione di creare delle “Oil free zone”, zone libere dai combustibili fossili, in linea con il PEAR (Piano Energetico e Ambientale Regionale), con la SEN (Strategia Energetica Nazionale) e con le direttive UE in materia.
A spiegare nel dettaglio cosa siano le comunità energetiche ha provveduto il professor Angelo Tartaglia, docente del Politecnico di Torino, a cui si deve la traccia principale del testo di legge, a suo tempo sottoposto anche al vaglio di Pro Natura, che aveva a sua volta fornito indicazioni in parte recepite.
In sostanza, si tratta di un insieme di utenze energetiche associate per massimizzare efficienza e benefici grazie all’autoproduzione da energie rinnovabili e a una rete di distribuzione locale, a sua volta poi collegata a quella nazionale per eventuali scambi energetici. Nel caso in oggetto, parliamo di un territorio piuttosto vasto, 1.350 km quadrati per circa 140.000 abitanti. I soggetti interessati saranno l’Amministrazione pubblica, in particolare quella degli Enti locali, aziende del territorio e naturalmente i cittadini, in qualità di consumatori, ma anche di possibili produttori, un duplice ruolo che viene definito dal termine “prosumers”, derivato dalla contrazione di producers e consumers. Un ruolo che mentre scriviamo è in fase di definizione istituzionale a livello di UE, provvedimento che una volta varato dovrebbe facilitare anche l’iter legislativo delle stesse comunità energetiche. Perché il problema è che, nonostante l’apprezzabile intervento legislativo della Regione Piemonte, l’istituzione di dette comunità rimane comunque in un limbo normativo che può creare qualche problema dal punto di vista legale.
Il fatto è che in Italia, nel tentativo di frenare il malaffare dilagante, si continuano a emanare leggi e normative non di rado in conflitto fra loro, per cui è sempre difficile interpretare la volontà del legislatore. Per non sbagliare, non si dovrebbe fare nulla, se non ciò che è specificamente previsto per legge. In sostanza, nulla vieta di creare comunità energetiche, ma neppure vi è un esplicito consenso alla loro messa in atto e, dal momento che la loro istituzione va a toccare gli enormi interessi economici che gravitano intorno al mercato dell’energia, occorre muoversi con attenzione, anche se la direzione è senz’altro quella giusta.
Mentre l’aspetto normativo rimane ancora problematico, per contro – ha evidenziato Tartaglia – l’aspetto tecnico non presenta difficoltà soverchianti. Il ruolo dei produttori-consumatori presuppone solo di dover installare un contatore supplementare, in modo da conteggiare sia l’energia in entrata, sia quella in uscita. Per quanto riguarda la rete nel suo complesso, è relativamente facile prevedere l’andamento dei consumi di una comunità, assai più di quanto possa esserlo per le singole utenze, tanto da poter programmare produzione e accumulo in modo da poter gestire picchi e cali di domanda, anche tenendo conto della instabilità intrinseca delle fonti rinnovabili, per loro natura soggette a variabilità stagionali, orarie o relative alle condizioni meteo.
In questo senso, è stato relativamente poco approfondito l’aspetto legato alla mobilità elettrica, che dovrebbe invece essere parte integrante di un progetto di questo tipo, sia perché le batterie delle auto elettriche fornirebbero un sistema di accumulo “diffuso” e relativamente flessibile, in grado di contribuire all’equilibrio di rete, sia perché disporre di vetture a zero emissioni darebbe compiutamente senso alla locuzione “Oil free zone”, zona libera dal petrolio. Infatti, un veicolo elettrico alimentato da fonti rinnovabili non è solo pulito, è puro, discorso valido sia per i mezzi privati sia, a maggior ragione, per il trasporto pubblico.
Operativamente, per costruire la comunità energetica, occorre preventivamente raccogliere dati su consumi, impianti di autoproduzione e altre variabili, lavoro svolto da neolaureati e dottorandi con competenze diversificate, dall’ingegneria al campo legale. Poi occorrerà definire la forma giuridica della comunità ( cooperativa? consorzio? … ). Ancora, dal momento che la rete distributiva è di proprietà di un gestore nazionale, occorrerà stabilire le modalità di utilizzo: escludendo la possibilità di rilevare la proprietà, restano le opzioni di concessione o convenzione. Un percorso dunque ancora lungo, anche se sul territorio nazionale non mancano alcuni esempi a cui fare riferimento, piccoli consorzi che a suo tempo erano riusciti per vari motivi a non essere fagocitati dalla nazionalizzazione di Enel e che tuttora esercitano la loro indipendenza energetica.
Tuttavia, non c’è dubbio che quella delle Comunità energetiche sia una delle soluzioni più interessanti per avviare quella rivoluzione energetica indispensabile per aumentare l’efficienza, diminuire i consumi e ridurre la dipendenza dalle fonti fossili, tutte azioni necessarie per frenare l’effetto serra e mitigare il riscaldamento globale che sta già provocando mutamenti climatici ormai evidenti. Per questo, come Pro Natura, seguiremo con attenzione gli sviluppi di questo progetto innovativo, primo in Italia e dunque destinato a costituire un precedente e a fare scuola.
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