Serve una politica con la P maiuscola: i cattolici sono chiamati a dire la loro

Una riflessione estremamente attuale e di grande interesse quella che padre Francesco Occhetta fa sul numero 11 di dicembre della rivista “Vita Pastorale”: il succo condivisibile sta nell’evidenza posta al fatto che sia in atto un attacco alle istituzioni del Paese accettato acriticamente da tutte le forze politiche. Il mito della democrazia diretta. Non si può che essere pienamente d’accordo col passaggio in cui egli afferma che “la spinta gentile dei populisti europei di rendere la democrazia diretta il centro della vita politica suscita perplessità, proprio davanti ai principi di sussidiarietà, solidarietà e di uguaglianza in cui la Dottrina Sociale della Chiesa crede”.

I punti critici della riflessione che padre Occhetta individua sono un vero monito non solo per aprire una riflessione ma anche per comprendere come agire di fronte ad un populismo che non si dirige in soccorso di un popolo in difficoltà ma fa correre il rischio di un suo utilizzo come alibi di scelte che vedrebbero protagonisti gruppi organizzati, minoranze, lobby, impegnati a fare appello alle emozioni cancellando di fatto quella politica con la P maiuscola fatta di confronto fra identità, mediazione, rispetto fermo dei principi costituzionali.

Giustamente lo scritto prende le mosse dalle dichiarazioni di Davide Casaleggio e Beppe Grillo rispettivamente sul fatto che “il Parlamento potrebbe non servire più” e sull’ipotesi di estrarre a sorte i membri di una Camera e di ridurre i poteri del Presidente della Repubblica.

Ciò che appare meno convincente è l’incipit dell’articolo: “qualcosa nella politica sta cambiando per sempre. Il Paese è entrato nella Terza Repubblica con la fragilità delle regole della Prima…”. Se è un dato il cambiamento, che pone tante preoccupazioni, questa sorta di terza fase della storia repubblicana rappresenta evidentemente un duro attacco alle regole che la Costituzione ha posto a fondamento della Repubblica Italiana ma non è proprio la solidità di quelle regole che fino ad oggi hanno permesso di evitare i peggiori sbandamenti? Come possiamo dimostrarlo? Guardando alla fase non citata, ossia la così detta “seconda repubblica” che rappresenta la genitrice di ciò che c’è oggi. Quando nasce il tentativo leaderistico di saltare ogni mediazione sociale per un presunto contatto diretto col popolo e quello di annullare le identità politiche, senza le quali non c’è mediazione ma, personalizzando, solo nemici da combattere con partiti che, svuotati di visioni sociali chiare, diventano personali, plurali/contenitori, grandi comitati elettorali che scopiazzano il sistema elettorale americano? Non è forse nel quarto di secolo iniziato nel 1992/1993? I virus che stanno mettendo in tensione la nostra democrazia sono stati messi in circolo in quel frangente storico e allora come oggi la Costituzione finisce nel mirino! Infatti una caratteristica delle tendenze populiste è quella di proporre a più riprese riforme costituzionali per cucirsi addosso tali regole, nate dal confronto tra grandi identità politiche, che diventano un impaccio nell’ottica di una democrazia progressivamente sempre più diretta che riconduce tutto al capo di turno o alle scelte della classe dirigente non più attraverso formazione e cursus honorum ma a chiamate del popolo.

Questo filo conduttore, che parte dalla riforma berlusconiana bocciata con un referendum porta fino alla tentata riforma costituzionale proposta da Matteo Renzi (se fosse passata la situazione attuale non sarebbe peggiore?) e si lega alle idee citate di cambiamenti istituzionali.

Il dubbio che viene, conseguentemente è legato all’idea di “terza repubblica”: e se fossimo al colpo di coda della “seconda”? Verrebbe da affermare “lunga vita alle fragili regole della Prima” tutte imperniate su quella Carta che Giorgio La Pira definiva “programma di popolo”!

Un’ultima notazione: ben fa padre Occhetta a parlare della visione sociale cristiana, radicata nella Dottrina Sociale della Chiesa, ricordandone i principi, il problema è che oggi quella visione è afona perché la frantumazione e sparizione dei cattolici è un dato di fatto, ma esso non è uno dei più devastanti risultati del citato venticinquennio che ha visto i cattolici fratturarsi tra quei “cattolici del sociale” e “cattolici della morale” che il cardinal Gualtiero Bassetti ha invitato a superare per riscoprire un rinnovato protagonismo ritrovando l’originalità della propria identità? Tale frantumazione, forse, è una delle questioni significative la cui possibile soluzione potrebbe contribuire ad annullare i rischi così ben delineati da Occhetta per la democrazia italiana ma serve superare i piccoli cabotaggi e le vecchie incrostazioni personali che, nella schizofrenia delle proposte di settimana in settimana messe in campo, porta a pensarla come Lev Tolstoj “la nostra fortuna è come l’acqua nella rete: tiri la rete e la senti gonfia, e quando l’hai issata a terra non c’è niente”.

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