Patria e Costituzione
A sinistra, nel variegato e perennemente diviso campo progressista, da qualche mese, tanto per cambiare, è nata una nuova aggregazione promossa dall’ex parlamentare Pd, Stefano Fassina, oggi rieletto in Parlamento nelle fila di Liberi e uguali. Si chiama Patria e Costituzione, un accoppiamento di temi molto evocativi: patria, come comunità nazionale; Costituzione, come valori che fondano questa comunità.
Una parola, patria, che a sinistra, non è mai piaciuta molto. La vecchia sinistra internazionalista e zeppa di velleità rivoluzionarie, oggi relegata tra i ferrovecchi della storia, sosteneva infatti che i proletari non avessero patria, in quanto la lotta contro il capitale non aveva frontiere. Oggi, sono i paradossi della storia, siamo al punto in cui, a parti invertite, è invece il capitale a non voler avere dei confini, a pretendere di muoversi dove e come meglio crede, andando là dove lo spingono l’interesse e il profitto senza alcun riguardo a qualsivoglia legame patriottico o nazionale.
Proprio considerando l’attuale natura del capitalismo, ecco che per garantire tutele e protezioni sociali per i lavoratori e per le classi più deboli, può avere senso riportare in auge un termine come patria. L’idea cioè di una comunità nazionale nella quale la politica torni a fare il mestiere per cui è nata, ovvero contrastare, come contro potere democratico l’incontrollato predominio della finanza. Un potere finanziario che, lo sappiamo bene, da sempre mal sopporta la democrazia e che, più o meno surretiziamente, fa il tifo per l’antipolitica.
Ecco perché, tutto sommato, bene sarebbe che a sinistra si riflettesse su questo binomio, “patria e Costituzione”, inteso come possibile freno a un capitalismo globalizzato che distrugge qualsiasi legame si interponga al proprio interesse. E infatti Fassina ritiene che per battere questa plutocrazia senza frontiere che schiaccia lavoro e diritti, bisogna rivitalizzare la dimensione nazionale e in pratica considera prossimo al fallimento, se non del tutto fallito, l’attuale progetto di integrazione europea, il cui mercato unico viene ritenuto troppo succube alle logiche del liberismo. Una sudditanza che, secondo Fassina, è irrimediabile, cosicché piuttosto che lasciar spazio ai sovranisti di destra, è meglio dar vita ad un sovranismo di marca progressista.
In realtà pur riconoscendo acume ed originalità alla proposta messa in campo da Fassina, sorgono alcuni dubbi. La volontà, totalmente condivisibile, di restituire valore alla politica e tutelare il nostro welfare, mostra però la corda, quando si immagina di rinchiudersi entro il solo orizzonte nazionale. E’ infatti davvero illusorio credere che l’Italia da sola (ma lo stesso vale per Francia, Germania o Spagna) possa reggere la sfida di un mondo globale in cui si confrontano dei pesi massimi come Cina o Stati Uniti. Pertanto o i Paesi europei si uniscono oppure il nostro welfare, che certo va difeso come il ben più prezioso, diverrà presto indifendibile.
Bene allora parlare di patria ma quella cui riferirsi non può che essere quella europea, così come quando si ragiona di Costituzione, meglio sarebbe riferirsi ad una nuova grande Carta europea. L’integrazione del continente è il solo futuro immaginabile e le prossime tappe devono essere l’unione bancaria, l’armonizzazione fiscale, una politica industriale comune. Il nostro modello sociale potrà essere difeso solo su scala sovranazionale: l’Europa unita è la sola patria possibile del nostro avvenire.
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