Popolari: ancora attuali, dopo cento anni

Come poter attualizzare il pensiero e l’apporto “popolare” dopo 100 anni di storia? Cento anni in cui, sia nel periodo “aventiniano” con l’opposizione alla dittatura, che durante la Resistenza, che nella stesura del testo Costituzionale e nella ricostruzione democratica, da quella cultura politica e dall’impegno di molti suoi uomini significativi sono venuti contributi importanti che restano punto di riferimento non solo per quanti, formati alla luce dell’Insegnamento sociale della Chiesa e cresciuti con una formazione cattolico democratica, intendono continuare ad essere uomini e cittadini “Liberi e Forti”.

Al di là della ricorrenza, l’anniversario del Partito Popolare più che celebrato ha bisogno di essere riproposto in modo innovativo e solo se vi è una proposta e una iniziativa pubblica da mettere a servizio dell’intera società.

Cosa si intende dire? Che i partiti, i movimenti politici, le organizzazioni civili sono strumenti; si formano e finiscono. Non sono il fine. Il fine è il bene comune, il fine è la persona e i suoi diritti inalienabili che devono essere difesi e garantiti, il fine è la crescita integrale della comunità civile e politica. Perciò sono le idee, i progetti, i programmi per l’oggi ciò che servono, e chi vuole contribuire allo sviluppo integrale della società non deve portare le proprie storie, le proprie eredità, il proprio pur valoroso passato; deve confrontarsi con le questioni presenti, con le richieste e i bisogni delle persone di questa generazione, con le sfide globali che piaccia o meno ci investono e ci interrogano.

E le idee e i progetti non si costruiscono a tavolino, ma nell’impegno civico di tutti i giorni e attraverso il dialogo e il confronto con le persone. Ne discende l’importanza di fare rete e di iniziare ad andare oltre l’impegno culturale e formativo. Serve sempre l’impegno <pre-politico>, ma è venuta l’ora di fare qualche passo in più, di rischiare, di tornare a dire parole “popolari” anche scomode.

In questo rischiare mi chiedo se sia a tutti noi ancora chiaro che “la religione è unità, la politica è divisione” come affermava Sturzo. Perché molti equivoci del recente passato e di alcune speranze del presente stanno in questa poca chiarezza: i partiti non sono strumenti delle religioni, e la diversità delle opzioni fra i cristiani sono legittime nelle questioni politiche. Piuttosto si tratta per i cattolici democratici di superare sia la tentazione dell’indifferenza che quella dell’irrilevanza; che non significa, che i delusi dalle esperienze nel centro destra e nel centro sinistra debbano costruire il centro-centro. Piuttosto che si deve ripartire dalla concretezza e dalla realtà del Paese e delle persone, per costruire una politica di alleanza con chi ha una visione di socialità, di solidarietà, di uguaglianza, di sostegno al lavoro al welfare alla famiglia alla natalità.

Come secondo interrogativo, mi chiedo se siamo ancora convinti che si è “o sinceramente conservatori o sinceramente democratici”. So che nessuno si considera un conservatore e che tutti, destre, centro, sinistre, si ritengono democratici; ma essere democratici richiede scelte coerenti. Mi limito sempre ad attingere a Sturzo per tagliare corto: E’ chiaro che io stimo monca, inopportuna, contrastante ai fatti, rimorchiante la chiesa al carro dei liberali, la posizione di un partito cattolico conservatore; e che io credo necessario un contenuto democratico del programma dei cattolici nella formazione di un partito nazionale”. E oggi coloro che erano considerati i liberali non sono forse le destre? il centro-destra? Non sono forse coloro che pensano a tagliare le tasse ai redditi maggiori, coloro che sono pregiudizialmente contro qualsiasi forma di patrimoniale, coloro che non si preoccupano dei diritti e delle necessità dei ceti lavoratori, che pensano a tutte le questioni sociali come piaghe da sradicare con la forza e l’ordine, che non accettano alcuna regola sociale, coloro che danno del buonista a chi si dedica ai poveri e agli emarginati, coloro che intendono la politica come nazionalismo, coloro che confidano soprattutto nella forza militare per i rapporti con gli altri Stati?

Ritengo, storicamente, un errore sia dei popolari che dei socialisti di Turati, non essersi accordati nel 1922 per dar vita ad un Governo di coalizione; lo stesso, per le incomprensioni fra questi e Giolitti, lascando spazio alla successiva dittatura.

Penso che le linee di fondo e i riferimenti valoriali per un programma, di una formazione autenticamente “neo-popolare”, non possano non rintracciarsi nell’Enciclica Laudato sì, che è apprezzata molto anche da personalità laiche e non credenti. Poi (ritenendo che si debba partire dal concreto della vita quotidiana) metto in fila rapidamente, alcuni punti che mi pare non possano essere lasciati in disparte:

la centralità del lavoro (i diritti di chi lavora e il riconoscere la dignità di ogni persona e popolo ad avere terra e casa) e il sostegno alle attività economiche che producono beni di utilità sociale e che rispondono a requisiti etici;

la valorizzazione e la difesa dell’ ambiente, del paesaggio, delle culture, e una informazione libera non condizionata dal potere pubblicitario né dalle ingerenze delle Istituzioni;

una forte consapevolezza di cittadinanza europea, perché tutti sentiamo l’esigenza di muoverci, viaggiare, soggiornare, lavorare e studiare nel continente senza barriere, vincoli e controlli burocratici, in un unico mercato e regole comuni; e politiche umanitarie e di integrazione nella gestione dei fenomeni migratori;

il sostegno a politiche non stataliste e centraliste garantendo la libertà religiosa, quella della società civile, dei corpi intermedi, delle organizzazioni sindacali e il riconoscimento e lo sviluppo del Terzo Settore, della cooperazione economica, sociale, civile, del volontariato organizzato (altro che tassa sul bene!); un insegnamento libero e <pubblico> con la connessa libertà educativa delle famiglie; assistenza, previdenza sociale, beni comuni, sanità, scuola, Università, formazione professionale, comunque gestite e organizzate ma non privatizzate, e l’erogazione dei servizi pubblici, da garantire a tutti e non frutto di profitto;

una legislazione “family friendly”; sostegno alla maternità; difesa e realizzazione concreta delle pari opportunità; aumento degli spazi di partecipazione e della democrazia deliberativa; l’attivazione di buone pratiche in campo sociale, lavorativo e ambientale e una politica energetica che abbandoni il “fossile” e sfrutti il più possibile “le rinnovabili”;

infine qualificante, come filosofia di fondo, dovrebbe essere l’impegno nel procedere al superamento della cosiddetta economia dello “scarto” (di persone, popoli, comunità locali), al contrasto della tendenza ad omologare e uniformare ogni sistema di vita, di produzione, di commercio e di consumo nelle diverse aree territoriali, difendendo spazi di pluralismo e le ricchezze culturali di tutti i popoli; insieme al mai inutile impegno per il disarmo in vista di politiche di pace.

Queste le caratteristiche e gli impegni che potrebbero connotare la presenza del <personalismo comunitario e solidale> fin dai livelli locali. Questo ciò che intendo per celebrare in modo opportuno una ricorrenza perché sia compresa in modo positivo e possibilmente condivisa da chi ancora pensa ad una democrazia progressiva nel solco dei “Liberi e Forti”; nella speranza che chi fa riferimento a quella storia e a quei valori trovi modalità per riunificare esperienze anziché procedere ad ulteriori divisioni.

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