11 febbraio 1944: naufragio dell’Oria, 4mila soldati italiani in fondo al mare
Capo Sunio è un promontorio a una settantina di chilometri a sud-est di Atene, sormontato da un grande tempio dedicato a Nettuno il dio del mare. Le acque che gli stanno davanti sono di un intenso blu come lo si trova da poche altre parti, eppure, tanto sono di una spettacolare bellezza quando sono calme, quanto sanno trasformarsi in un ribollire di onde e di flutti quando c’è brutto tempo. E fu proprio in occasione di una forte tempesta che, davanti a Sunio, sbattendo contro gli scogli dell’isola di Patroklos, affondò nella notte dell’11 febbraio 1944 la nave norvegese Oria, con a bordo oltre 4mila soldati italiani in viaggio verso i lager nazisti. Nel naufragio perirono quasi tutti, provocando una delle più grandi tragedie marine di tutti i tempi. Ancor più del Titanic e del Lusitania.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, le nostre truppe dislocate nei diversi fronti di guerra, si trovarono alla mercé dei tedeschi che da alleati divennero i nuovi nemici. Privi di ordini, visto che la catena dei comandi era saltata, molti reparti dovettero decidere se arrendersi, deponendo le armi, o proseguire i combattimenti. Nelle isole dell’Egeo – il Dodecanneso era italiano dal 1912 – molti soldati scelsero di continuare a battersi contro gli ex alleati, in un’impari lotta che significò morte sicura – con episodi di puro eroismo come accadde a Cefalonia – oppure la prigionia finendo poi trasferiti in Germania dove, a causa delle esigenze belliche, vi era continuamente bisogno di mano d’opera.
Per questo, stipata oltre misura, l’Oria, una vecchia nave ormai prossima al disarmo, prese il largo da Rodi verso il Pireo. A bordo c’erano i fanti della 50° divisione Regina, ormai classificati come Internati militari italiani. Nel tragitto, la nave si trovò in mezzo ad una tempesta e affondò: morirono annegati 4.100 soldati italiani oltre a qualche decina di tedeschi tra l’equipaggio e il corpo di guardia. I soccorsi non giunsero in tempo e per parecchie settimane il mare continuò a restituire i corpi degli sventurati.
Sono passati 75 anni e i nomi di questi nostri caduti sono ancora in larga parte sconosciuti, rientrando in quella generica e triste categoria dei dispersi, senza la possibilità, almeno per ora, di una precisa individuazione. Quello dell’Oria resta un episodio poco noto che merita invece di essere ricordato per il suo altissimo prezzo in vite umane e per meglio conoscere le vicende della guerra nell’Egeo, spesso lasciate in disparte rispetto ad altri teatri bellici. Eppure nel Dodecanneso, dopo l’ 8 settembre, l’Italia pagò un prezzo elevato in caduti che morirono per la loro fedeltà alla patria. Perché – e questo va sempre tenuto presente – il giuramento, quello vero, il solo autentico, era fatto al Re e dietro il sovrano stava, nel bene e nel male, la sola possibile legittimità dell’esercito italiano.
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