“La Cenerentola” nello storico allestimento di Jean-Pierre Ponnelle
L’opera di Rossini in scena al Teatro alla Scala in memoria di Claudio Abbado nel quinto anno della scomparsa
Il Rossini Opera Festival di Pesaro e l’annessa Fondazione, che hanno sede nella bella città marchigiana, hanno svolto il ruolo determinante noto ai più nel lungo cammino della “Rossini renaissance”. Essa ha portato alla riscoperta di opere del genio pesarese per lungo tempo consegnate all’oblio, oltre che al rinnovamento della prassi esecutiva conforme alle ragioni più pure del belcanto. Ma non bisogna dimenticare che, in anni in cui il fenomeno della riscoperta rossiniana era agli albori, diversi furono i teatri italiani che diedero fuoco alle polveri di questa sfolgorante rinascita, contribuendo a far manifestare i primi segnali del quel rinnovamento che oggi è sotto gli occhi e le orecchie di tutti. Ci piace pertanto ricordare il ruolo svolto dal Maggio Musicale Fiorentino e poi dalla Scala, che in particolare svolse, attraverso Claudio Abbado e le regie curate da Jean-Pierre Ponnelle per Il barbiere di Siviglia, L’italiana in Algeri e La Cenerentola, un lavoro di pulizia stilistica, condotto sia sul piano musicale (fondamentale, in questo, il supporto di Alberto Zedda, il cui sapere in ambito rossiniano ha avuto pochi uguali) che registico, per liberare il Rossini comico da una tradizione che lo confinava ad una concezione farsesca deteriore, portata alle conseguenze più estreme. Questi spettacoli segnarono un’epoca e se ancora oggi vengono ripresi è indice che la loro lezione perdura nel tempo.
Nello specifico della Cenerentola, forse ancora oggi il più attuale allestimento della “trilogia” scaligera di Ponnelle, si continua ad ammirare la capacità di trattare l’argomento buffo intingendolo di pennellate di malinconia e di ironia perfettamente integrate in quell’impianto in simil cartone, tutto in bianco e nero, come fosse disegnato a china, che pare una casa di bambole; mostra gli interni fatiscenti della casa di Don Magnifico e le quinte che rivelano in prospettiva le sale del palazzo del Principe. Alla regia, qui ripresa da Grischa Asagaroff, è affidato il compito di risolvere le situazioni comiche dell’opera con quel sottile filo di leggerezza ironica dominato dal gusto e da un modo di far teatro comico che è ormai entrato a far parte di un “modus operandi” consolidatosi negli anni, conforme alle regole di un divertimento che non sconfina mai nel cattivo gusto e nell’eccesso, sempre in punta di penna nel dipanare l’ingranaggio che muove la surreale macchina musicale e teatrale rossiniana. Tutto questo è ormai riconosciuto come universalmente valido e da prendere a modello. Sta ora ai teatri decidere se protrarlo ancora negli anni a venire, o se trovare nuove soluzioni perché l’opera comica rossiniana trovi sfaccettature più attualizzanti, ma è certo che al pubblico spettacoli come La Cenerentola di Ponnelle piacciono ancora e al Teatro alla Scala, dove l’allestimento si vide per la prima volta nel 1973, viene oggi ripreso in memoria di Claudio Abbado nel quinto anniversario della scomparsa.
Garanzia di pulizia stilistica e di bel fraseggio rossiniano sono garantite dalla bacchetta di Ottavio Dantone, che mette tutta la sua sapienza di affermato “barocchista” al servizio di una cura dello strumentale analizzato nel dettaglio, facendo interagire il fortepiano (suonato mirabilmente da Paolo Spadaro) con l’orchestra per dare dinamicità e flusso dialogico leggero e soffice ad una direzione nel segno della cura per i particolari e per i tempi spesso incalzanti ma teatralmente pertinenti. Un Rossini consapevole di quanta strada si sia fatta nel recupero di una quadratura stilistica sopraffina, anche se talvolta attraversata da un retrogusto di inamidato distacco.
Sul palcoscenico c’è una compagnia di canto di livello qualitativo superiore, che vede, accanto a specialisti di comprovata bravura, l’approccio del mezzosoprano francese Marianne Crebassa al ruolo di Angelina/Cenerentola, alla sua prima parte rossiniana sul palcoscenico scaligero dopo le importanti affermazioni in Lucia Silla e Le nozze di Figaro di Mozart, ne L’enfant et les sortilèges di Ravel e, più recentemente, in Tamerlano di Händel, grazie alla cui prova si è aggiudicata il Premio Abbiati della Associazione Nazionale Critici Musicali. Alle prese con la vocalità rossiniana, la brava cantante francese mostra un’eleganza e freschezza scenica che la fanno rientrare nel novero delle Cenerentole che guardano al modello indimenticato di Frederica von Stade, tutto giocato sull’innocenza del personaggio, colorato di nostalgiche tinte acquerellate e di un garbo sempre raffinato del gesto, oltre che delicatamente malinconico. Le viene incontro il bel colore di una voce che nei centri, per il velluto levigato e carezzevole, non ha problemi ad espandersi bene nell’ampia platea della Scala. Tuttavia, negli acuti, il suono si assottiglia e mostra segni di fatica, soprattutto nel rondò finale, così come le colorature sembrano poco spontanee. Indice che, al di là dell’indubbio riconoscimento all’alto valore dello stile e dell’eleganza che le sono proprie, dando bella mostra di sé nel patetismo della canzone “Una volta c’era un Re” e nel delicato attacco di “Ah! Signor, se è ver che in petto”, la vocalità rossiniana non è forse il terreno d’elezione preferibile per sviluppare le future scelte del repertorio, almeno a queste condizioni.
Maxim Mironov è invece un rossiniano a tutto tondo e disegna un Don Ramiro che per stile e musicalità non teme confronti. Ci sarà chi ha voce più bella e ampia della sua, ma è con crescente interesse che si ammira il percorso che ha portato negli anni questo ancora giovane tenore ad affinare la tecnica per liberare il timbro dal vibrato che caratterizzava le prime pur interessanti esibizioni e a trovare, nel settore acuto, un bell’equilibrio nella messa a fuoco dei suoni misti che oggi gli consentono di azzardare soluzioni stilistiche davvero interessanti, oltre che ricercatamente raffinate. La presenza scenica è poi un dato di fatto indiscutibile, così che lui, autentica incarnazione del tenore “amoroso” rossiniano e quindi Principe perfetto, forma insieme alla Crebassa, che è una Cenerentola innocente e sognante, una coppia di innamorati che pare uscita direttamente da un libro di fiabe.
Al loro fianco ci sono due buffi da antologia, Carlos Chausson, Don Magnifico e Nicola Alaimo, Dandini. Il primo, in barba ai molti anni di carriera sulle spalle, sfoggia una voce ancora solida e timbrata; nei sillabati delle sue arie, elementi fondanti donati da Rossini al linguaggio vocale del buffo, così come nel tratteggiare il personaggio, è un vero portento, con l’impronta dell’autentico artista, di tempra antica ma di gusto moderno. Anche il secondo, la cui versatilità nelle scelte del repertorio continua a destare interesse, oltre che stupore ed ammirazione, fa comprendere come la coloratura e il canto sillabico (basti ascoltarlo nell’aria di sortita “Come un’ape ne’ giorni d’aprile” o in frasi come “Alfine sul bracciale ecco il pallon tornò”) siano in Rossini strumento di espressività pari al gesto scenico, che in lui divengono un tutt’uno di naturalezza e spirito comico carichi di risvolti umani tutti giocati sull’intimo significato che la parola dona al canto, così da aiutarlo a delineare un Dandini spontaneamente simpatico e personale, nel gesto come nella caratterizzazione vocale, interpretativamente fuori da ogni scontato cliché e, per questo, teatralmente irresistibile. Ricordiamo che il prossimo 22 febbraio, a Bergamo, gli verrà conferito il “Premio Ettore Bastianini 2019” dalla Associazione Internazionale Culturale Musicale intitolata al leggendario baritono senese.
Erwin Schrott è un gran basso, lo si sa, ma nei panni di Alidoro prova a cavarsi d’impaccio dalla difficile aria “Là del ciel nell’arcano profondo” tentando con esiti alterni di far apparire le agilità il più possibile consone alle sue caratteristiche vocali. Troppo caricaturali le due sorellastre, Tsisana Giorgadze, Clorinda e Anna-Doris Capitelli, Tisbe, soliste dalla Accademia del Teatro alla Scala.
Successo e repliche fino ad aprile, per complessive undici recite.
Foto Brescia & Amisano
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