La Chiesa fra peccato e speranza
E’ stato sicuramente un momento di conforto per Benedetto XVI la grande manifestazione di sostegno che, nella mattinata del 16 maggio, ha riempito piazza San Pietro ad iniziativa più o meno spontanea della Conferenza nazionale delle associazioni del laicato cattolico e della CEI, e che era stata concepita quale “riparazione” alle presunte “offese” ricevute dal Papa in ordine alla sua gestione dello spinoso dossier dei preti pedofili e dei Vescovi che, in varie parti del mondo, li hanno coperti.
Certamente, per dirla col Manzoni, dopo i giorni del “codardo oltraggio” (che pure vi è stato), non poteva essere una dose di “servo encomio” a riequilibrare una situazione di per sé già difficile, e quanto difficile lo hanno espresso con chiarezza le brusche parole dell’Arcivescovo di Vienna card. Christoph Schonborn, allievo ed amico del Pontefice, che nei giorni precedenti aveva denunciato l’oggettiva complicità del suo confratello, il cardinale Angelo Sodano (già Segretario di Stato di Giovanni Paolo II e attualmente Decano del Sacro Collegio) nell’ insabbiamento delle inchieste a carico del predecessore di Schonborn alla guida della maggior Diocesi austriaca, il cardinale Hans Hermann Groer, pedofilo notorio, addebitandogli anche le parole offensive verso le vittime dei preti pedofili e dei loro parenti degradando le loro proteste a “chiacchiericcio” nel corso del suo singolare messaggio augurale al Pontefice prima della Messa solenne di Pasqua.
Proprio tale inedito avvenimento, che significativamente il portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi definiva come totalmente di iniziativa del card. Sodano, più che un’espressione di solidarietà a Benedetto XVI appariva come una sorta di auto – assoluzione del gruppo di potere che aveva circondato nei suoi ultimi anni Giovanni Paolo II e che, ad esempio, fino all’ultimo aveva impedito l’accurata indagine sulle colpe del fondatore dei Legionari di Cristo p. Marcial Maciel, dal quale spesso non aveva disdegnato di ricevere cospicui donativi in denaro (e l’accusa oltre a Sodano coinvolgeva anche il card. Eduardo Martinez Somalo, all’epoca camerlengo pontificio,ed il segretario particolare del defunto pontefice mons. Stanislao Dziwisz, ora Cardinale Arcivescovo di Cracovia) .
Una volta di più Benedetto XVI si è smarcato dai laudatores più o meno interessati con un intervento pacato in cui, ringraziando per le espressioni di sostegno ed affetto, ha ricordato che l’unico nemico della Chiesa è il peccato, e che talvolta il peccato attecchisce anche all’interno di essa e fra coloro che in essa hanno responsabilità. Nello stesso modo si era espresso pochi giorni prima, conversando con i giornalisti nel suo viaggio aereo alla volta del Portogallo, ricordando che le maggiori insidie per la Chiesa vengono dall’interno e non dall’esterno, come in definitiva ricordava Gesù stesso nel momento in cui respingeva il ritualismo farisaico per ricordare che la vera lordura è nell’uomo, non fuori di lui.
E in effetti, a voler ben cercare, in questi tormentati giorni vissuti dalla Chiesa cattolica, alcuni accenti nuovi sono risuonati in documenti e dichiarazioni recenti. Il primo è quello del 1 maggio scorso che fa il punto sulla vicenda dei Legionari di Cristo, e, oltre a squalificare definitivamente la figura di padre Maciel, esamina criticamente la vita stessa della Congregazione, giungendo alla conclusione che non vi fosse alla base di questo gruppo divenuto così potente alcun carisma reale, a causa della condotta immorale e criminosa del suo fondatore. Fra le altre cose, il comunicato della Santa Sede rileva che “l’azione apostolica e missionaria della Chiesa (…) non si identifica con l’efficientismo a qualsiasi costo” ed afferma la “necessità di rivedere l’esercizio dell’autorità, che deve essere congiunta alla verità, per rispettare la coscienza e svilupparsi alla luce del Vangelo come autentico servizio ecclesiale”.
Prendendo sul serio, come meritano, queste parole, ed applicandole non solo al caso penoso della Congregazione di origine messicana, se ne deduce che qualsiasi pretesa di ridurre l’azione apostolica ad un indistinto attivismo efficientista di stampo, come ebbe a dire Giuseppe Dossetti, “semipelagiano” (sul modello ad esempio applicato nella vita pastorale della Chiesa italiana fra il 1991 ed il 2007) è di per sé se non un tradimento certo un gravissimo fraintendimento del messaggio evangelico e talvolta, al di là della buona o cattiva fede di chi se ne fa interprete, può comprometterne la piena ricezione da parte di chi, a buon diritto, pensa che il mezzo sia il messaggio e che mezzi discutibili non possano servire a messaggi buoni. Allo stesso modo, pensando a molte altre situazioni all’interno della Chiesa in cui l’autorità viene esercitata al di fuori della verità (non solo della Verità di fede, ma anche della pura e semplice verità dei fatti) o addirittura a scapito di essa, si riconferisce alla coscienza quel ruolo primario nell’approccio alle questioni di fede e nella vita stessa della Chiesa che un culto cieco dell’autorità tende costantemente a negare.
Allo stesso modo vanno interpretate le parole dette dal Pontefice nel suo viaggio apostolico a Fatima e in quello di poco precedente a Torino per l’ostensione della Sindone.
Nel primo caso, rimarcando il significato di profezia non esaurita delle visioni mariane nella città portoghese (e, si badi bene, nessun credente è tenuto a considerare tali rivelazioni come verità di fede) il Papa non solo prende le distanze dagli allucinati millenaristi che vaneggiano di “quarti segreti” in cui la Madonna avrebbe annunciato il Concilio Vaticano II come un flagello per la Chiesa, ma ricorda il dato essenziale per cui l’unica Parola di salvezza cui i credenti debbono attingere è e rimane quella contenuta nel testo biblico, nel Primo e nel Secondo Testamento, che è la pienezza dell’autorivelazione di Dio all’uomo. Certo, è comprensibile che alcuni preferiscano il tono apocalittico (e nello stesso tempo tranquillizzante in senso reazionario) di certe rivelazioni, magari piegandole all’attualità politica ed ecclesiastica, rispetto alla “memoria sovversiva” contenuta nel testo biblico, ma il Papa non accetta questa visione ed anzi ne prende le distanze.
Allo stesso modo, rimarcando il carattere di “icona” della Sindone il Papa non prende posizione né pro né contro nella controversia scientifica sulla datazione del lenzuolo che avrebbe avvolto il corpo di Cristo, ma spinge più in là la riflessione ricordando che la memoria del dolore e della morte patiti da Cristo si apre alla speranza della resurrezione, alla novità sconvolgente di una vita oltre la vita.
E d’altro canto, chi sente il bisogno di una presenza reale di Gesù non ha bisogno di reliquie più o meno dubbie, ma la può trovare con la sicurezza della fede nel tabernacolo della più umile delle cappelle o della più scalcinata parrocchia di periferia.
Tornare all’essenziale, ha detto il Papa teologo a Torino, e l’essenziale, si sa, è invisibile agli occhi.
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