Marzo 1986: Casale Monferrato, come si affrontò l’inquinamento dell’acquedotto
Già nella giornata dello stesso 25 marzo 1986, a poche ore dal disastro e dall’individuazione della fonte in cui venivano scaricate in modo fraudolento e criminale le sostanze nocive direttamente nel terreno e nelle falde, le stanze del municipio di Casale Monferrato sembravano un formicaio. I cittadini vennero informati di non usare l’acqua dei rubinetti, che era risultata inquinata, e si sentirono scaraventati in un surreale medioevo dove l’acqua corrente attinta dai rubinetti di casa non si sapeva cosa fosse.
L’evento, inaspettato e gravissimo, poteva mettere in ginocchio la città e in crisi l’amministrazione municipale. La risposta non poteva che essere immediata, senza esitazioni, e in grado di consentire un pronta ripresa delle attività.
Infatti si pensò subito a come consentire a panettieri, baristi, parrucchieri, attività sanitarie, mense scolastiche, ristoratori, case di riposo, di approvvigionarsi di acqua potabile. Si doveva distribuire porzioni adeguate di acqua a tutti per non interromperne il regolare funzionamento. E ciò avvenne.
Infatti, in mezzo all’accalcarsi di persone e ad una certa comprensibile confusione, mentre il sindaco Riccardo Coppo, assumeva le decisioni immediate per l’informazione e per i rifornimenti più urgenti, e mentre alcuni consiglieri insieme ai Vigili urbani continuavano a girare nei quartieri per segnalare il divieto di uso dell’acqua erogata dai rubinetti, l’aAssessore Paolo Ferraris con il suo staff adottava le decisioni immediate per il rifornimento di acqua potabile alla cittadinanza. Furono posizionate, nel giro di una giornata, una serie di cisterne in resina rifornite di acqua dai Vigili del Fuoco, a cui si attingeva per i fabbisogni familiari con taniche, bottiglioni, damigiane. Quartieri e frazioni ebbero quelle cisterne come riferimento e centro aggregativo, per un mese.
Fu quella l’occasione per verificare la grande solidarietà esistente, e forse fino a quel momento poco apprezzata, del volontariato locale. I fFunzionari del comune riuscirono a organizzare quella <forza sociale associativa> con compiti precisi, in modo che ogni zona cittadina e ogni anziano solo fosse raggiunto e rifornito di acqua. I giovani delle parrocchie si mobilitarono e a loro volta affiancarono l’impegno del volontariato, dimostrando generosità e senso civico.
Va ricordato che le comunicazioni importanti e i successivi passi per il ritorno alla normalità (l’ordinanza di divieto ad uso alimentare ed igienico dell’acqua di casa, l’interconnessione con l’acquedotto del Monferrato, il lavaggio della rete idrica, l’immissione di acqua potabile, la fine dell’incubo) furono date, oltre che attraverso i giornali anche con volantini distribuiti capillarmente e con l’affissione di manifesti.
E’ da rimarcare, infatti, come rilevante l’atteggiamento di tutte le forze politiche che non approfittarono di una occasione che poteva giocare su facili populismi. La scoperta del sito in cui una ditta locale, anziché smaltire con le modalità e nei luoghi previsti dalla normativa vigente, introduceva liberamente e in modo criminale le sostanze inquinanti nel sottosuolo venne comunicata ai rappresentanti dei gruppi consiliari, che garantirono la solidarietà a lavorare per il bene cittadino.
Per un mese Casale Monferrato fu al centro della cronaca e delle trasmissioni televisive: era un caso di rilievo nazionale, ma fu anche l’occasione per mettere in evidenza che si doveva intervenire urgentemente sia sulla gestione controllata delle discariche (che doveva essere pubblica), sia sull’uso di prodotti chimici in agricoltura, sia sull’aumento della vigilanza per gli smaltimenti di prodotti nocivi, sia su normative che non scaricassero sulle sole amministrazioni locali una serie di responsabilità e incombenze di cui, in particolare, i comuni medio-piccoli non potevano e non possono farsi carico.
Affrontata la risposta immediata, e individuato il sito e il motivo dell’inquinamento già il giorno successivo, furono rapidamente scoperti i responsabili. Con questi, come prevedibile, la rabbia cittadina si scatenò. Venne messo in luce che il malaffare e i giri malavitosi, legati allo smaltimento di rifiuti industriali, stavano espandendosi nei nostri territori piemontesi.
Vi era anche la necessità di adeguare la legislazione che non prevedendo il danno ambientale non consentiva alla magistratura di contestare comportamenti malavitosi e reati contro la salute e l’ambiente.
Vennero quindi avanzate una serie di proposte: individuare siti idonei per le discariche, avviare il catasto dei rifiuti, istituire un Centro regionale post-diploma per formare i tecnici ambientali, creare un sostegno della Regione per accedere ai fondi per il nuovo acquedotto, studiare forme di sostegno ai piani di bonifica del territorio.
Due aspetti mi preme ancora sottolineare. Il reato di inquinamento ambientale per il quale ci sono voluti circa trent’anni per l’approvazione!!!! Questo dice delle difficoltà, non tanto a causa del sistema basato sul bicameralismo italiano che allungherebbe i tempi della legislazione. Le lungaggini dipendono invece, soprattutto, dagli ostacoli culturali sociali ed economici che vengono frapposti anche da lobby che intendono continuare a lucrare su situazioni non chiarite definitivamente.
Il secondo aspetto deludente, per i cittadini, sono state le sentenze derivanti dai processi: massimo due anni e otto mesi. Oltre che inadeguate per i danni causati, anche quasi non scontate del tutto per la sospensione condizionale della pena (per alcuni) oppure per il beneficio del condono previsto dall’amnistia (per altri).
Ad oltre trent’anni di distanza, è importante ricordare e ripercorrere le vicende di quei giorni per valorizzare lo spirito di reazione positiva dei casalaschi, la tenuta politica dei rapporti amministrativi, il ruolo importante della Protezione civile, la coscienza civica ed ambientale della popolazione. Coscienza che è cresciuta negli anni e si è fatta “adulta” cioè attenta, sensibile, partecipe rispetto a decisioni che attengono ad una serie di servizi pubblici e di sviluppo del territorio e del paesaggio. Se tutto questo è vero, è altrettanto importante comunicare una specie di morale riguardo a quella vicenda: che, se uniti e decisi, si può venire fuori anche dalle tragedie e che alcuni accadimenti negativi della vita di una comunità devono servire per riprogettare il futuro.
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