Nuova Zelanda, la follia del suprematismo bianco
Più o meno nelle stesse ore in cui milioni di giovani in tutto il mondo scendevano in strada per difendere il nostro pianeta dalla distruzione ambientale, un altro giovane nella lontana Nuova Zelanda scendeva dall’auto, entrava in una moschea ed uccideva 49 persone. Da una parte andava in scena la gioia e la voglia di vivere, dall’altra la rabbia e la volontà di morte. Due facce opposte del mondo in cui viviamo.
Vi è chi accetta la realtà globale, sentendo la comune umanità che ci unisce e chi invece la teme, immaginando possa scardinare tutti i suoi valori e i suoi punti di riferimento. Addirittura, si giunge a pensare che la società aperta di oggi, con le sue differenze e le sue complessità, sia frutto di un complotto internazionale ordito da chi vuole distruggere il vecchio mondo del “buon tempo antico”. Il cosiddetto suprematismo bianco, che da tempo si muove in alcune porzioni della nostra società occidentale, vive di questi miti, ed auspica il ritorno ad un’immaginaria età dell’oro, che sarebbe oggi compromessa da tutto quello che non corrisponde a questo modello. Bersaglio diventano allora le donne, quando lottano per i propri diritti, gli omosessuali, le minoranze etniche o religiose, in un contorno di razzismo, xenofobia ed antisemitismo.
Il massacro neozelandese, nella sinora tranquilla città di Christchurch, nel sud del Paese più a sud del mondo, rappresenta, esattamente come la strage dell’isola Utoya, in Norvegia otto anni fa, la punta più folle e fanatica di questa ideologia. L’assassino era ossessionato da una presunta cospirazione musulmana contro l’Occidente e la razza bianca. In queste follie c’è sempre un complotto di mezzo, la ricerca di un nemico, qualcuno che si batte contro un altro, in un’immaginaria lotta per la sopravvivenza. Al posto di sognare una società dove tutti possano vivere come meglio credono, col solo limite di non calpestare le libertà altrui, si farnetica di una civiltà assediata e rinchiusa in se stessa: confini angusti, culturali ed etici, persino più che geografici. Un fondamentalismo che vuole avvolgere il mondo con i suoi fantasmi e le sue paure.
Il giovane australiano, intriso di odio razziale e fautore della supremazia bianca, che ammazza come birilli i musulmani ritenendoli un pericolo per l’esistenza del mondo, non è poi peraltro tanto dissimile dal fondamentalista islamico che si fa saltare in aria per purificare il mondo dagli infedeli. In entrambe le situazioni emerge una fanatica avversione verso la società libera ed aperta. Difendersi da questi estremismi non sarà facile, ma certo il solo presupposto per ottenere qualche risultato è un’ampia e totale collaborazione internazionale. Senza reticenze e retro pensieri.
Per questo colpisce che dopo la strage in Nuova Zelanda, l’Iran abbia chiesto l’immediata convocazione del consiglio degli Stati musulmani per fronteggiare l’islamofobia dilagante nel mondo e, in particolare, in Occidente. Bene confrontarsi all’interno della propria religione, purché si comprenda che resta, comunque, una visione parziale del problema. Per questo avremmo preferito che il governo iraniano, anziché rinchiudersi soltanto nel proprio ambito interconfessionale, avesse chiesto di indire al più presto una sessione straordinaria dell’Onu, per riflettere tutti assieme su quali risposte dare e su quali misure intraprendere. L’attacco infatti ci tocca tutti in quanto uomini. L’odio che promana da quelle armi è rivolto non contro una parte o l’altra, ma contro l’umanità intera.
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