A proposito delle Provincie

V’è indubbiamente la necessità e l’urgenza di affrontare una razionalizzazione generale del sistema istituzionale del nostro paese, per evitare gli sprechi, e rendere più funzionale la pubblica amministrazione. E’ allora sbagliato, a me pare, pensare che il problema sia rappresentato primariamente dalle Province, che costerebbero inutilmente, e che bisognerebbe dunque avere il coraggio di abolire. Vorrei capire, in proposito, come finirà davvero la pantomima in argomento, così come rappresentata dapprima, assurdamente, nella “finanziaria”, e poi nella “carta delle autonomie”.

Io non avevo e non ho, in ogni caso, dubbi che il centrodestra non combinerà nulla in argomento, dopo aver pensato, un po’ ridicolmente, di cancellarne “solo” quattro. Certo, da milanese, sono tra quanti condividono innanzi tutto (illusoriamente ormai?) l’esigenza di realizzare, in quest’area, la Città metropolitana, destinata, tra l’altro, ad assorbire l’ente Provincia. Un’operazione, peraltro, complicata, a me sembra, dall’ avvenuta istituzione della Provincia di Monza. Tornando alle Province in generale, mi chiedo tuttavia se sia ora il caso di riportare l’orologio indietro di anni, riaprendo una discussione che dovrebbe considerarsi conclusa, perlomeno per il medio periodo, con l’avvenuta approvazione, nel 2001, delle modifiche alla parte seconda della Costituzione, confermate dal referendum popolare. Modifiche che hanno rafforzato, in parte ridefinendolo, il ruolo degli enti locali, Province comprese.

La nuova Costituzione ha disegnato un assetto adeguato e coerente: un quadro chiaro, organico, pulito, mi verrebbe da dire. Un disegno che prevede, come noto, che lo Stato abbia competenza su ben determinate materie che non possono che essere attribuite al livello centrale (moneta, politica estera, esercito, eccetera), mentre le Regioni l’abbiano su ogni altra materia non espressamente assegnata, appunto, allo Stato. Ma la competenza regionale è di natura squisitamente legislativa e pianificatoria, mentre le funzioni amministrative sono attribuite interamente ai Comuni, fatta salva la necessità di un loro eventuale esercizio unitario da parte di Province, Città metropolitane, Regioni o Stato. Un quadro chiaro, ribadisco, nel quale la Provincia è così tenuta a gestire soltanto le funzioni che riguardino i problemi che superano i confini dei singoli Comuni. E ad occuparsi, in raccordo con la Regione, e coordinandosi con i Comuni, di programmazione, economica, territoriale, sociale, e ambientale. Nonché di attività di promozione e di sostegno ai Comuni medesimi, in particolare quelli di piccola dimensione. Programmazione, non gestione, dunque. Nonché coordinamento, promozione, sostegno. Funzioni sussidiarie, perciò, in un certo senso.

Salvare l’Italia abolendo le Province, pare, in ogni caso, il leit motiv del momento, finita (forse) l’era dell’attacco dello stesso tenore alle Prefetture, sferrato in particolare dalla Lega Nord. Certo, le Province dovrebbero avere due requisiti contestuali fondamentali: una popolazione adeguata e un territorio “peculiare” (Monza ha quest’ultimo, ad esempio?). Da qualche parte si propone, in alternativa, di mantenere comunque una struttura “provinciale”, facendola diventare un’ unità tecnico-operativa della Regione: in proposito non mi pare saggio aumentare le competenze “amministrative” di questo ente, che ha altre funzioni, come dirò poi. 

La questione è che, come detto, occorre razionalizzare l’intero sistema istituzionale, che cosa diversa dall’ abolire semplicemente gli enti in questione. Alla fine, si risparmierebbero soltanto gli “stipendi” dei relativi amministratori. Che non mi pare molto. Semmai, andrebbero ridotti i privilegi di tutta la classe politica, che sono peraltro assai diseguali da categoria a categoria (quelli dei “provinciali” non parrebbero scandalosi, in confronto ad altri), a partire da quelli dei parlamentari, il numero dei quali potrebbe essere ridotto in misura anche significativa,come si va dicendo da anni, dopo aver costituito i “parlamentini” regionali. In ogni caso, forse, fermo restando che non ha senso crearne di nuove, più che sopprimere tout court le attuali Province, o comunque prima di farlo, varrebbe la pena di sperimentare davvero la piena attuazione del dettato costituzionale sopra descritto. Imponendo così che ciascuna delle citate istituzioni si mantenga strettamente nel proprio ambito di competenza e non invada campi altrui: lo Stato non sia accentratore, la Regione non riproduca, per parte sua, neocentralismi, e si limiti, appunto, alla legificazione, alla grande pianificazione e alla necessaria funzione di coordinamento infraregionale, trasferendo tutta l’attività amministrativa agli enti locali. Le stesse Province, infine, non esercitino funzioni dei Comuni, come pure, da qualche parte, accade. Tutti gli enti, poi, valorizzino pienamente le risorse interne, evitando possibilmente la moltiplicazione di agenzie, istituti, sub enti e quanto altro, riducendo la proliferazione delle consulenze, ed astenendosi dall’ attuare, le amministrazioni subentranti, uno spoil system selvaggio.

Ridurre i costi della politica è indispensabile e possibile, dunque. Credo, però, serva anche la consapevolezza che, come detto, la democrazia resta un bene fondamentale. In proposito va allora segnalata anche l’imprescindibile esigenza di ridare dignità alle assemblee elettive degli enti locali (ma il tema riguarda, in qualche misura, lo stesso Parlamento e i consigli regionali), oggi in evidente crisi d’identità e di ruolo. E’ un altro tema su cui riflettere, anche se non appassiona, temo, le … masse.

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